Esporsi al problema per allenare la resilienza
La resilienza è un atto integrale di rivoluzione. La dichiarazione silente di una volontà affaticata ma non piegata. E al netto di abusi politici e melensi discorsi da copertine patinate, questo termine descrive una proprietà oggettiva, fisica e psicologica e per questo difficilmente passibile di negligenza. Ignorare la salute della propria resilienza è a tutti gli effetti un rischio. Altrettanto, non avere consapevolezza della sua caratura, quindi del suo modo di agire.
Ciò che veramente definisce la resilienza, quanto meno in psicologia, è la capacità di un individuo di affrontare un evento critico in modo propositivo, adottando determinate strategie di riformulazione della vita, evitando un’alienazione della propria identità. Non è dissimile dalla meccanica, per certi versi, dove per resilienza si definisce l’energia assorbita da un corpo in conseguenza delle deformazioni elastiche. In ingegneria, invece, viene misurata come la capacità di un materiale di resistere a forze dinamiche, dagli urti alle rotture. La cosa curiosa, assonante alla psicologia, è che un corpo risponde a tali urti tramite deformazioni elastiche e plastiche; più comunemente dette: cambiamenti.
Come tutte le capacità, benché siano innate, a un certo punto necessitano di un certo allenamento per adattarsi adeguatamente alle sfide proporzionalmente difficoltose della vita. Il segreto comune alle varie tecniche di improvement è la consapevolezza dell’evento e l’esposizione ad esso. Se il frame mentale iniziale è questo, si è già a buon punto dell’opera.
Un metodo curioso, non solo per il gioco di parole, è la tecnica ABC di Albert Ellis, fondatore della Rational Emotive Behavior Therapy. Lo psicologo, precursore della terapia cognitivo-comportamentale, ha creato uno strumento facile quantomeno da ricordare – benché in ogni caso serva comunque l’aiuto di uno specialista. Il metodo è suddiviso in cinque parti, attraversate le quali, permette di cambiare il modo di valutare gli eventi.
Ogni lettera rimanda a un punto preciso della parabola resiliente. A, adversity, avversità: è l’evento critico o negativo che impatta sulla psiche personale. B, belief, convinzione negativa che ne scaturisce; C, consequence, ovvero la reazione emotiva alla crisi, D, discussion, messa in discussione delle convinzioni precedenti e infine E, effect, gli effetti successivi al cambio di prospettiva.
La tecnica non fa altro che formalizzare un approccio critico e maturo al problema. Il punto di vista della visione iniziale viene ribaltato prima di tutto dagli eventi, il nocciolo della questione è capire come gestire tale cambiamento. La messa in discussione è connaturata, ma la differenza è data dalla consapevolezza degli effetti dopo il rovescio di prospettiva.
Gli approcci all’allenamento della resilienza sono comunque simili ed è possibile ricondurli a due semplici concetti: aprirsi al problema e destrutturarlo. E sono tutti strutturati in più o meno numerosi punti che però seguono due semplici azioni: in un primo momento l’esposizione al problema e la consapevolezza dell’esistenza dell’evento; in un secondo momento, partendo proprio dal bagaglio di consapevolezza, si cerca di cambiare il punto di vista e la credenza invalidante iniziale, che a quel punto si paleserà in parte come la causa della crisi stessa.
Insomma poche tecniche e trucchi mistici, l’unica cosa da fare e rimboccarsi le maniche e ristrutturare l’evento esponendosi ad esso fino a diventarne immuni. Ma con immensa pazienza.