In un mondo che premia la buona reputazione, cerchiamo un equilibrio tra ambizione e competenza
In un mondo che premia sempre più la reputazione e cerca nuove competenze, come segnalarle in modo corretto? La domanda è fondamentale, per il nostro lavoro e per la nostra vita quotidiana, innanzitutto perché gli esseri umani tendono a essere un po’ troppo ottimisti riguardo al loro sapere.
In psicologia, si parla di effetto Dunning-Kruger per descrivere questo bias. In sostanza, tendiamo (tutti) a sopravvalutare le nostre abilità rispetto a una specifica competenza.
Nell’esperimento iniziale, i due ricercatori sottoposero alcuni studenti a diversi test di grammatica, esercizi di problem solving, test sul pensiero creativo, chiedendo a ciascuno di auto-valutarsi dopo il task: tutti tendevano a sopravvalutarsi e, quel che è peggio, la distorsione era inversamente proporzionale alle reali abilità. Tradotto: i più ciucci, in realtà, erano quelli che si davano il punteggio più alto dopo il test.
E il guaio è che il temibile effetto Dunning-Kruger non riguarda solo giovani studenti universitari, ma anche persone osservate nella loro vita reale: i due psicologi, infatti, ripeterono l’esperimento sul campo, in un poligono di tiro, trovando sostanzialmente il medesimo risultato.
Qualcuno potrebbe porre la fatidica domanda: so what?
Il fatto è che, nel mondo disruptive di oggi, segnalare le proprie competenze diventa sempre più difficile, così come mantenere la reputazione dopo che si è presa una sonora cantonata. E la reputazione, inutile dirlo, è davvero quasi tutto in un mondo iper-connesso.
Qual è dunque il modo migliore di muoversi, in un contesto così complesso?
Da un lato, la competizione crescente tra professionisti spinge ad osare sempre di più, ad allargarsi a campi spesso inesplorati e, perché no?, a proporsi per lavori in cui si hanno poche competenze di base. L’apertura al cambiamento, il desiderio di apprendere e la volontà di sfidarsi sono senz’altro un segnale di disponibilità a mettersi in gioco, che non guasta mai.
Dall’altro lato, però, il rischio è quello di spingersi troppo oltre, magari cadendo vittime proprio dell’effetto Dunning – Kruger, non uscendo dalla pugna esattamente nelle migliori condizioni.
C’è una storia interessante, che merita di essere raccontata e che ha trovato spazio sui media italiani qualche settimana fa. Parla di due grandi personaggi della storia italiana: Italo Calvino, romanziere e intellettuale tra i maggiori del ‘900 italiano; e il mostro sacro Eugenio Scalfari, uno dei padri nobili del giornalismo nazionale.
I due erano compagni di banco a scuola e, durante i primi decenni del Novecento, quando il regime fascista si preparava a dettare legge (letteralmente) per un ventennio in Italia, si scambiarono diverse lettere.
Calvino era un giovane in cerca di ispirazione, già con la schiena diritta rispetto alle idee sul futuribile governo Mussolini. Scalfari era un brillante pubblicista che cercava di farsi largo nel panorama editoriale italiano, non disdegnando di scrivere per riviste tra le più varie, anche di argomenti che conosceva poco.
C’è un brano di una lettera del 10 giugno che Calvino invia a Scalfari, piuttosto interessante per il nostro ragionamento:
“Tu che sempre hai vissuto in una sfera lontana dalla vera vita, uniformando il tuo pensiero all’articolo di fondo del giornale tale e talaltro, ignorando completamente uomini fatti cose adesso ti metti a scrivere di economia, di argomenti ai quali sono legati avvenire benessere prosperità di popolazioni. Questa più che faccia tosta mi sembra impudenza. […] Lo so, sono amaro, ma, ragazzo, nella merda fino a quel punto non ti credevo. Il giornale fa pietà, è un vero sconcio che si lasci pubblicare tanta roba idiota e inutile. […] Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire, ma cominci a fare un po’ schifo.”
Quel fare un po’ schifo suona davvero feroce, nel suo sarcasmo.
Per carità, Scalfari ha fatto una carriera strepitosa, scrivendo pagine di grande giornalismo nei decenni. Ma la questione rimane: fino a che punto l’ambizione e la sicurezza di sé possono spingersi nel sondare territori inesplorati?
Il rischio di incorrere in una memorabile cantonata, con effetto Dunning–Kruger dietro l’angolo, invita a misurare curiosità, sempre bene accetta, con sano spirito critico. Perché se è vero che “Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto”, è anche vero, come diceva Oscar Wilde, che “ci sono uomini che sanno tutto, peccato che questo è tutto quello che sanno”.