Cosa possiamo imparare da Enzo Ferrari, «agitatore di uomini e talenti»
Sono molti gli uomini entrati nella leggenda. Incredibilmente pochi quelli cui è accaduto nel corso della vita. Uno di essi è Enzo Ferrari. Un uomo di cui si pensa di conoscere tutto. Un uomo che seppe difendere ostinatamente la propria vita privata, i propri affetti. Come i dolori, che pure furono terribili. Un uomo che oggi è ricordato soprattutto grazie a citazioni entrate a far parte del giornalismo sportivo: l’auto da corsa perfetta è quella che si rompe un attimo dopo aver attraversato vincente il traguardo; chi arriva secondo è solo il primo degli sconfitti; la vittoria più bella? La prossima.
È difficile comprendere il mito, forse è impossibile. Esula, per sua stessa natura, da ciò che è comprensibile dalla ragione. Il mito vive del nostro bisogno di grandezza e di sogno; della bellezza ideale delle grandi imprese, delle sfide e degli scontri impari dei moderni Davide contro i Golia.
Forse per comprendere il “genio della lampada” di Enzo Ferrari, il demone che animava la sua ossessione per la sfida, può essere d’aiuto pensare al presente, a un uomo scomparso recentemente. Penso a Sergio Marchionne, altro uomo delle sfide impossibili, legato da profonde affinità elettive al “Drake” come gli inglesi chiamavano Ferrari. Entrambi motivati da una giovinezza difficile, se non difficilissima: emigrante ragazzino in Canada Marchionne; disperatamente solo in cerca di un’occupazione il diciottenne Enzo Ferrari al termine della prima Guerra Mondiale. Uomini dotati di una straordinaria capacità di lavoro e di una determinazione feroce nel raggiungere gli obiettivi; perfezionisti, ambiziosi, innamorati del loro mestiere, interessati a una sola cosa, sempre la stessa: la vittoria. Entrambi incredibilmente visionari e sognatori.
A chi chiedeva a Ferrari quale fosse il suo ruolo – progettista, piuttosto che imprenditore – pare che rispondesse così: “Sono un agitatore di uomini e di talenti”. Risposta che si addice perfettamente anche al suo “doppio” Marchionne e palesemente ingenerosa: ce ne vuole di talento in proprio per trasformare una piccola scuderia in un vascello pirata (ecco l’origine del soprannome “Drake”) capace di sfidare e battere i colossi dell’automobilismo mondiale.
Nessuno saprà mai cosa o chi trasforma un ragazzo che allo studio preferisce di gran lunga lavorare nell’officina del padre in un inventore di sogni. Nessuno conosce la formula che trasforma un buon pilota in un creatore di sculture in movimento (cos’altro è una Ferrari?) e un cognome nel brand più forte al mondo secondo il BSI (brand strenght index) la classifica che misura i valori del brand senza riferimento ai dati di fatturato.
Come per i video che inspiegabilmente diventano virali, non sappiamo qual è la formula che trasforma un uomo, una donna, in mito. Tuttavia un’ipotesi sia pur esile mi pare doveroso proporla: il segreto è trasformare la passione del bambino nell’impegno dell’adulto, mutando il gioco in lavoro, come è riuscito a fare Enzo Ferrari.
Se questa è la “legge generale” della sua vicenda umana e sportiva, cos’altro può insegnarci la sua storia? Personalmente sono rimasto colpito da alcuni tratti della sua personalità. Ve li propongo insieme agli episodi che li sostanziano.
Resilienza
Autunno-inverno 1918-19. La guerra è appena terminata, il paese è sconvolto dall’immane sforzo bellico. Il giovane Enzo ha perduto prima il padre e poi il fratello maggiore caduto in battaglia. Dimesso dopo una lunga convalescenza per curare la pleurite presa al fronte, si reca a Torino nella speranza di trovare lavoro in Fiat. L’azienda però gli nega l’assunzione. Il giovane Ferrari è disperato, solo e privo di risorse. L’incontro alla stazione di Porta Nuova con una giovane sartina che poi diverrà sua moglie, gli dà nuovo coraggio. Dopo una lunga ricerca, Ferrari trova lavoro in una carrozzeria specializzata nel recupero di autocarri militari.
Velocità
Enzo Ferrari non fu il miglior pilota della sua epoca e neppure il più veloce. Lungo il corso della sua vita seppe invece cogliere con grande rapidità le opportunità che la vita gli offriva. Alla fine del 1919 un’amicizia nata in modo fortuito in un caffè di Milano, gli consente di abbandonare il lavoro di officina e di diventare prima collaudatore e poi corridore automobilistico.
Visione
Dice di sé Enzo Ferrari: “Nel 1920 cominciavo soprattutto a far sentire con istintiva prepotenza la mia vocazione di agitatore di uomini e di problemi tecnici. Tengo a dire che, quale fui allora, sono adesso: mai mi sono considerato un progettista, un inventore, bensì soltanto un agitatore”. Bellissima definizione: impossibile non pensare agli “agitatori-visionari” della nostra epoca (in quale altro modo chiamare Steve Jobs?)
Determinazione
Nei primi anni Trenta Ferrari gestiva sia sviluppo delle Alfa Romeo sia il team di oltre quaranta piloti, tra cui i grandissimi Antonio Ascari, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari. Ritiratasi l’Alfa per ragioni economiche, Ferrari crea la scuderia AAC (Auto Avio Costruzioni) con sede a Modena che poi trasferirà a Maranello per timore dei bombardamenti. Terminata la guerra, nel 1947 Ferrari investe tutte le proprie risorse e trasforma la “Scuderia Ferrari” che esisteva sin dagli anni ’30 nella società automobilistica più nota al mondo.
Orgoglio
Nei primi anni ’60 Ferrari si trovò in grosse difficoltà: restare competitivi in Formula 1 richiedeva risorse finanziarie esorbitanti. Si fece avanti la Ford con un’offerta che avrebbe reso incredibilmente ricca l’azienda e lo stesso Ferrari. Quando la trattativa giunse in dirittura d’arrivo e la firma del contratto pareva una formalità, Ferrari scoprì che ogni decisione riguardante la gestione sportiva avrebbe dovuto ottenere il placet di Detroit. Al suo rifiuto, pare che uno sbalordito Lee Iacocca, futuro presidente della General Motors, abbia affermato: “Ma come, lei vende la sua fabbrica e vorrebbe continuare a comandare?”. Si narra che le urla di Ferrari costrinsero i negoziatori a una rapida ritirata. Nel 1969 Ferrari cede a Gianni Agnelli il 50% della Ferrari mantenendo il controllo assoluto della gestione sportiva.
Riservatezza
Ferrari era famoso per la sua ritrosia: le interviste concesse si contano sulle punta delle dita. Nell’epoca degli influencer e delle classifiche dei follower, la riservatezza può apparire anacronistica. Tuttavia, è forse utile ricordare che le grandi sfide richiedono dedizione assoluta.