Dallo Smart Working a Borgo Olivetti il passo è breve?
“Il 9-17 è morto. E l’esperienza di un dipendente è più di snack e tavoli da ping-pong”. L’affermazione di Brent Hyden, presidente e Chief People Officer di Salesforce, nasconde una rivoluzione di pensiero che va ben oltre alla devozione verso lo Smart Working. E ci aiuta a riflettere sui modelli di welfare introdotti dalle big tech.
Salesforce segue l’esempio di Facebook e Microsoft – quelle dei tavoli da ping pong, appunto – aziende che hanno colto al volo l’occasione, se così possiamo definirla, della pandemia per mettere mano al loro, personalissimo, statuto dei lavoratori. E non solo, diverse aziende, anche italiane, stanno adeguando il loro contratti di lavoro dipendenti “consigliandoli” di firmare un addendum in cui si richiede espressamente di adeguarsi a una nuova forma di lavoro flessibile.
L’azienda americana sui rapporti con le persone ne ha fatto un business, visto che è il leader mondiale delle soluzioni applicative per il cosiddetto Customer Engagement. E, a séguito di un sondaggio interno, Hyden che, lo sottolineiamo, si firma Chief PEOPLE Officer e non Responsabile del Personale, ha raggruppato le sue 140mila persone distribuite in tutto il mondo in tre tipologie.
Dal Flex all’Office-based: le nuove categorie di lavoratori
Ci sono i lavoratori Flex, la maggior parte, che si presenteranno in ufficio fino a un massimo di tre giorni alla settimana per riunioni e incontri con i clienti. I Fully Remote, che non vivono vicino alle sedi Salesforce o non hanno un ruolo che richieda una postazione e, infine, gli Office-based, una minima parte dei 140mila per cui l’azienda non può rinunciare al loro 9-17 quotidiano.
Queste le condizioni della nuova normalità, il nuovo lavoro flessibile. È una rivoluzione che coinvolge tecnologie, processi e mindset, come dicono gli americani. E non è assolutamente detto che si esaurisca con un addendum al contratto, o con la rottamazione dei tavoli da ping pong.
C’è bisogno di nuove tecnologie. Questo significa investimenti in applicazioni per la collaborazione e adeguamento degli strumenti applicativi per l’accesso da remoto, con particolare attenzione alla protezione dei dati.
Ma sarà anche necessario predisporre anche tool di valutazione dell’attività. Infatti, passando dal timbrare un cartellino a un lavoro smart in cui ciò che conta è concludere, bene e nei tempi, un progetto, l’azienda dovrà dotarsi di ulteriori strumenti applicativi come Slack, per esempio, per cui Salesforce non a caso ha sborsato di recente quasi 30 miliardi di dollari.
Ancora, le aziende più smart hanno previsto rimborsi in denaro contante per connessione e “hardware” aggiuntivo come un monitor o una sedia ergonomica, addirittura sostegno psichiatrico per convivere con i lockdown o rimborsi per l’attività fisica. Purtroppo, da quello che osserviamo, questo smart contract non abita in Italia. Qui è molto più facile che la connessione la debba pagare il dipendente, per esempio, e sui rimborsi in denaro spesso si fa finta di nulla.
Ciò che è successo, già da marzo 2020, è che le aziende chiedessero ai dipendenti di venirsi a prendere il Pc aziendale e si trovassero un angolo in casa in cui costruirsi la loro scrivania, non importa se è un bilocale in cui si lavora in tre. È successo che venga inibito l’uso dei ticket restaurant nei giorni in cui il dipendente non è in ufficio o che decada l’assicurazione sugli infortuni.
Smart working in smart cities, di proprietà di chi?
Eppure, la rivoluzione dello smart working rappresenta un bel taglio sui costi aziendali. Capitali che solo qualche multinazionale illuminata ha reinvestito pensando ai propri dipendenti. D’ora in poi serviranno uffici più piccoli, dunque ci sarà un risparmio sulle spese di affitto o di proprietà. Le bollette saranno più leggere, mentre si appesantiranno quelle delle utenze private, e, in generale, tutti i costi di struttura saranno ridotti.
Inoltre, in molti casi la tipologia di costo passerà da un Capex a un Opex, con ulteriori risparmi a bilancio.
Ma Hyden e Salesforce non si sono fermati qui. È previsto un restyling degli uffici per adeguarli ai protocolli di tutela della salute che, è facile immaginarlo, vedrà il sacrificio di scrivanie e sedie da ufficio a favore di divani, sedie e tavolini di design secondo un concept che somiglierà sempre di più agli spazi di coworking più cool.
Si rinforza, così, la tendenza allo smart living, un’altra rivoluzione che impatterà notevolmente sul mercato dell’immobiliare. Già si registra, infatti, una certa fuga dalle città di aziende e soprattutto di smart worker a favore di location periferiche più sostenibili.
Ma il passaggio allo smart working, a un lavoro più flessibile, si esaurirà così? Forse no. Nel 2019, Google, per mezzo della sua controllata Sidewalk Labs, aveva lanciato il progetto di realizzazione di una vera e propria smart city in Canada. A metà del 2020, si è arenato tutto a causa della pandemia, ma non è detto che lo si riprenda, anzi.
L’imprenditore più smart era italiano
Torniamo indietro di cento anni. Nel 1926, Camillo Olivetti realizza a Ivrea un lotto di sei case unifamiliari vicino agli stabilimenti. È il progetto Borgo Olivetti, innovativo e incredibilmente avanti. L’idea è di far vivere i dipendenti attorno alla fabbrica, fornendogli un modello di sostentamento tendente all’autonomia che prevedesse, tra l’altro, la disponibilità di un orto.
Una smart city di cento anni fa, realizzata e gestita da un’azienda privata. Non è stato un caso unico, in Italia abbiamo avuto diversi esempi di “villaggi operai”.
Cento anni dopo o anche meno, in Cina, il boom economico è merito dell’immensa capacità produttiva delle aziende cinesi. Molte di queste prevedono alloggi, mense e servizi per ogni tipo di esigenza del lavoratore all’interno della fabbrica. In questo modo si possono organizzare turni di produzione 24×7, fidelizzare, o controllare se si preferisce, i dipendenti per tutta la loro vita lavorativa.
Il Campus toglie il ping pong ma aggiunge gli alloggi
È il concetto di Campus, quello che, a partire da Microsoft, ha sdoganato i famosi tavoli da ping pong, magari un tantino estremizzato. E poi c’è Steve Sisolak, governatore democratico dello stato del Nevada che ha recentemente reso pubblico il suo sogno.
Venghino, signori, venghino: Google, Facebook, Amazon, Apple o una Big Tech qualunque autorizzata a trasformarsi, anche giuridicamente, quasi in una contea. Si chiamerebbero Innovation Zones, luoghi realizzati dalle Big Tech in cui avrebbero giurisdizione su alcuni ambiti sociali. Per esempio, la riscossione delle tasse, la fornitura dei servizi, la scuola e il rispetto della Legge, fino a immaginare un organo di governo totalmente indipendente.
In definitiva, smart working – che non è home working – e questa nuova idea di smart city privata sono davvero concetti così lontani? Non ci pare, e forse era meglio il tavolino da ping pong.