Dalle aziende storyteller ai consumatori storymaker: come cambia la comunicazione
Viviamo anni in cui la pubblicità si è sempre più trasformata in rumore di fondo: il grande dibattito odierno è, non a caso, sui software che bloccano la pubblicità online, i cosiddetti ad-blocker. Secondo una ricerca condotta nel 2014 in Nord America da Playnetwork, solo il 23% dei consumatori crede alle campagne tv, ben l’82% ignora volutamente le aziende che percepisce come invadenti e il 79% crede che i brand dovrebbero essere più genuini.
È forte quindi la richiesta di una comunicazione differente, più trasparente, rilevante e di valore. Il modo di dare una risposta a questa necessità è lo storytelling, la narrazione. La filosofia di base, apparentemente semplice, richiede metodo e pianificazione, ma ha il grandissimo pregio di essere poco costosa e quindi accessibile.
Con tanti casi di successo nell’applicazione dello storytelling al mondo del business, cui TED Talk dedica addirittura una playlist, oggi ci si interroga sulle sue evoluzioni e, in particolare, sulla sua componente transmediale.
Henry Jenkins descrive il transmedia storytelling come «un processo in cui elementi integrali di una storia si diramano sistematicamente attraverso molteplici canali con l’obiettivo di creare un’esperienza di intrattenimento omogenea e coordinata». Matrix o Star Wars sono eccellenti esempi di questo approccio: da film, sono diventati cortometraggi, fumetti, videogame, giochi di ruolo e persino iniziative promozionali come dimostra la recente Rollinz-mania generata dalla raccolta punti Esselunga.
Vediamo nel dettaglio come concepire e gestire una strategia di transmedia storytelling.
- Delineare obiettivi, audience e strategie di coinvolgimento
Come in tutti i piani di marketing, è necessario comprendere bene a chi ci rivolgiamo. Avendo a disposizione non solo il panorama classico dei media, ma una rosa molto ampia di canali, è possibile essere creativi. Quando il Comune di Milano nel 2014 ha lanciato una Call for ideas per la pedonalizzazione di piazza Castello, ha scelto di utilizzare il luogo stesso come strumento di coinvolgimento dei cittadini attraverso workshop permanenti. Il progetto, denominato Nevicata14, ha letteralmente messo in piazza le idee, in uno sforzo di cocreazione per la trasformazione di un luogo simbolo della città, a pochi mesi da Expo2015. - Redigere la propria narrazione
Trattandosi di storie, è necessario scrivere l’intreccio, in sintesi. Può essere d’aiuto uno dei testi fondamentali dello storytelling, The Anatomy of Story di John Truby. Un paio di anni fa Nike ha realizzato la famosa campagna The Last Game in cui si racconta la storia di uomini contro cloni. Infallibili, i secondi riescono a giocare a calcio senza errori. Ma non divertono e, sostanzialmente, fanno morire lo spirito sportivo. Alla fine, naturalmente, arriverà l’eroe che salverà il calcio riportando umanità e pathos nel gioco. Una storia da 88 milioni di visite su YouTube, un solido impianto narrativo. - Coltivare l’autenticità
Il transmedia storytelling consente di raccontare direttamente i valori e la vocazione dell’azienda. La nota campagna World’s Toughest Job, che metteva in luce le sfide e le difficoltà del “mestiere” di mamma, in un finto colloquio di lavoro via Skype, ha funzionato in modo dirompente perché estremamente autentica: l’intervista sembrava vera e rappresentava in modo schietto le difficoltà, le aspirazioni e le gioie di una madre. Lo storytelling parla di ispirazione, non tanto di prodotti. - Conoscere bene canali e mezzi e integrarli
Il punto fondamentale della logica transmediale è evitare di postare lo stesso contenuto sui diversi social. Ogni mezzo ha le sue peculiarità e deve quindi essere utilizzato per veicolare messaggi differenti sia per massimizzare le possibilità di contatto con l’audience sia per sfruttare al meglio le sue caratteristiche. L’interessante e-book di Story Factory contiene una semplice, ma necessaria checklist per valutare l’effettiva transmedialità di una campagna. Da tenere sotto mano! - Controllare e ripetere
Più di ogni altra attività di marketing, l’analisi dei risultati (delle condivisioni, delle visualizzazioni, dei lead) deve guidare l’azione e la taratura del piano di contenuti, giorno per giorno. Moltissime sono le analisi possibili, alcune delle quali si avventurano decisamente nel neuromarketing, studiando l’effetto sul cervello delle campagne e la loro capacità persuasiva. Le aziende più strutturate e innovative, già oggi applicano allo storytelling l’analisi dei big data. «Le possibilità messe a disposizione dai big data sono senza limiti. Vengono sviluppati nuovi approcci e tecniche in continuazione» sostiene Liz Barnsdale su MyCustomer.
L’importante è avere un piano per mettere a fattor comune quello che dicono i dati e ottimizzare, strada facendo, le attività.
Se lo storytelling è la nuova pubblicità, la sua dimensione transmediale gli consente di andare ancora oltre, verso un futuro in cui i clienti conquisteranno un ruolo ancora più maturo. Come nella campagna Share a Coke di Coca Cola che consente di personalizzare l’etichetta della bottiglia per usarla in modo personale e raccontare, così, la propria storia. Le aziende saranno sempre meno storyteller e i consumatori sempre più storymaker.