Curar(si) il cuore in Nepal
Racconto del viaggio con Mission Bambini e le volontarie di Fondazione Mediolanum per il progetto “Cuore di bimbi”, nato per aiutare i minori cardiopatici ad avere una diagnosi ed essere operati.
Mission Bambini opera per rendere felici e sani i bambini in Italia e nel mondo con progetti di educazione e assistenza sanitaria. In vent’anni di attività ha aiutato più di 1.400.000 bambini, finanziando 2.000 progetti in 77 Paesi. Da diversi anni la Onlus – nata nel 2000 – coopera con Fondazione Mediolanum allo scopo di raggiungere gli obiettivi delle missioni attivate nelle diverse aree del pianeta e fare squadra per contribuire a diffondere pace e benessere e assicurare diritti primari quali l’accesso all’educazione scolastica e alle cure mediche.
Ho partecipato all’ultima di queste missioni. Si è svolta alla fine di aprile in Nepal per il progetto “Cuore di bimbi” che ha come suo primo obiettivo quello di prevenire e curare le cardiopatie su minori privi di accesso a strutture sanitarie e tecnologie mediche.
L’Ingegnerino e il fermaglio rosa
Un fermaglio per capelli rosa pallido, degli orecchini cinesi e tanti centrini di carta, di quelli fatti ritagliando i bordi dei fogli piegati così vengono simmetrici. In Nepal pensavo di andarci per regalare tempo e sorrisi, e invece sono io a ritornare a casa piena di regali.
I centrini di carta e il fermaglio me li ha dati un bambino suppergiù di nove anni con gli occhialini rossi e neri e le sue forbici in tasca. Preciso, serio, composto. L’ho soprannominato l’Ingegnerino. Lo si notava in mezzo agli altri maschietti scalmanati e alle ragazzette vivaci che nelle due giornate in cui siamo stati con loro nel cortile della scuola correvano di qua e di là, scappavano via per timidezza, poi tornavano alla carica per contendersi i giochi che avevamo portato dall’Italia, e soprattutto la nostra attenzione. Lui invece era concentrato a fare un taglio preciso sugli aeroplanini di carta per poi farli volare via come razzi con l’elastico, più lontani e veloci di quelli di tutti gli altri.
Il campo screening di Mission Bambini
Grande festa alla Bal Mandir Secondary School di Damauli, distretto di Tanahun, Nepal, il 28 e 29 aprile scorsi. È lì che la fondazione milanese Mission Bambini all’interno del suo progetto “Cuore di bimbi” ha organizzato insieme alla Onlus nepalese Save the Heart un campo screening. Che sarebbe qualcosa che da noi non esiste, o forse in un tempo remoto esisteva e ora non esiste più. In pratica un team medico si sposta in zone difficili da raggiungere e prive di strutture ospedaliere adeguate per controllare a tappeto le persone della zona – in questo caso i bambini – visitarle e scoprire eventuali patologie, nel nostro caso cardiache.
Due giorni intensissimi con tre dottoresse dell’ospedale Niguarda di Milano a fare ecografie a ciclo continuo, almeno un centinaio a testa al giorno, dopo che i dottori nepalesi avrebbero fatto una prima scrematura auscultando i ragazzini con lo stetoscopio. Io mi ero unita alla missione come giornalista osservatrice insieme a due volontarie della Fondazione Mediolanum, Annalisa e Stella, a un altro volontario che aveva donato un ecografo da lasciare in Nepal a Save The Heart, e al personale di Mission Bambini: in tutto undici persone in arrivo dall’Italia.
Otto ore di strada per fare 150 chilometri
Damauli dista centocinquanta chilometri da Kathmandu, la storica, caotica e trafficatissima capitale. In Italia ci vorrebbero al massimo due ore, in Nepal ce ne abbiamo messe più o meno otto all’andata, e al ritorno ancora di più per un problema al radiatore del bus. La strada è quella principale del Paese e unisce Kathmandu a Pokhara, base turistica per i trekking sull’Himalaya. Eppure è stretta e lentissima, percorsa da file di Tir, e gli ultimi cento chilometri sono un cantiere unico. Tra sterrati, operai e ruspe al lavoro si procede a passo d’uomo e tra continui scossoni: follie che sono la normalità in un Paese che è tra i più poveri dell’Asia meridionale.
All’arrivo non sapevamo bene cosa aspettarci. Ci avevano parlato di campi screening in valli sperdute, dove la gente per arrivare ci metteva anche dieci ore in moto. Ci siamo ritrovati in un paesone in basso nella valle, un grande centro di case basse che in confronto a Kathmandu, con il suo traffico, lo smog e la gente, bambini compresi, in strada a tutte le ore a barcamenarsi per sbarcare il lunario, ci è sembrato ordinato e tutto sommato ben messo.
E ben messi erano anche i bambini della grande scuola, tutti riuniti con le loro divise nel cortile, le bambine con le treccine e i nastri colorati nei capelli, sotto il baniano, il grande albero sacro, e sui banchi portati fuori per l’immancabile cerimonia di inizio campo, la prima delle tante che avrebbero punteggiato il nostro breve soggiorno in Nepal.
I giochi, le visite e le ecografie
Le attività si svolgevano all’esterno, con la lunga fila di ragazzini per farsi auscultare lì, all’aria aperta, e chissà come facevano i medici nepalesi a sentire qualcosa con lo stetoscopio in quel caos di bambini che tutt’attorno correvano e vociavano in preda all’eccitazione inconsueta di poter giocare con giochi nuovi portati da questi stranieri forse un po’ buffi, senz’altro meno severi dei loro insegnanti.
Dentro, invece, al silenzio e al fresco delle classi trasformate per l’occasione in ambulatori, le dottoresse italiane procedevano senza sosta con le ecografie, distraendo con giochi e pupazzetti i bambini più timorosi. Anche se qui, ci hanno detto poi, di bimbi capricciosi non ce ne sono, mica come capita in Italia. In due giorni i bambini visitati sono stati più di seimila in arrivo da tutte le scuole del distretto, e più di 1500 gli adulti che, anche se il campo non era rivolto a loro, sono accorsi per non perdere l’occasione di farsi vedere da un medico. Gli ecografati totali 667, di cui 547 bambini, e ben 36 i casi gravi riscontrati, messi in lista per ulteriori approfondimenti e un probabile intervento chirurgico nella capitale. Il primo – è notizia di questi giorni – già effettuato con successo a Kathmandu dal fondatore di Save The Heart, il cardiochirurgo Anil Bhattarai, su una ragazzina tredicenne, Kritika Ghimire.
Le valigie del tesoro e il Crystal Ball
Dalle valigie enormi delle volontarie di Fondazione Mediolanum uscivano meraviglie mai viste: album da colorare, pennarelli di tutti i colori, palloncini gonfiabili, bolle di sapone per cui ogni volta si scatenava una lotta a chi riusciva a conquistarne uno, o di più. E così, mentre le dottoresse in due giornate ecografavano quasi seicento bambini, la preoccupazione di noi addetti all’animazione era come tenere a bada questa folla di ragazzini sempre più eccitati. Fino alla trovata geniale: fare tutti insieme, sui tavoloni improvvisati unendo i banchi di scuola, dei cuori, degli animali, dei ventagli e degli aeroplanini con i fogli colorati dell’origami. Concentrazione, silenzio, pace. E la sensazione di poterli finalmente guardare uno a uno negli occhi, senza frenesia, quei bambini che non hanno granché ma sono pieni di allegria e di energia, a cui basta un pacchetto di Crystal Ball per sentirsi i più fortunati del mondo.
Un tubetto blu l’ho chiesto alle volontarie, volevo regalarlo al mio Ingegnerino. Dovevo assolutamente ricambiare. Perché lui che mi aveva già dato i suoi centrini di carta fatti con le forbici e un disegno colorato, nel pomeriggio del secondo giorno è venuto a cercarmi apposta (se ne era già tornato a casa, abita in paese) per portarmi gli orecchini cinesi nella bustina di carta stagnola e il fermaglio rosa. E lì tutto si è capovolto, e ho capito che la gratitudine può essere rosa pallido come un fermaglio per capelli di plastica. O forse lo è l’amore.
Il progetto “Cuore di bimbi” ha l’obiettivo di salvare la vita dei bambini che nascono con gravi cardiopatie attraverso interventi cardiochirurgici realizzati da medici volontari nei Paesi più remoti del mondo, ma anche in Italia.
Se anche tu vuoi sostenere il progetto, visita il sito fondazionemediolanum.it o missionbambini.org