"Cura la tua selezione di informazioni e allontanati dal rumore": parla il profeta del digitale David Shing
In un mondo pieno di persone che producono contenuti, chi ascolta? Rimane tempo per farlo?
Non è detto che in un mondo pieno di contenuti nessuno ascolti. Credo che ci stiamo spostando da un mondo in cui l’influenza arriva dalle celebrità, dall’alto, verso una situazione in cui è molto più vicina e orizzontale. Un dialogo tra pari, non di una persona famosa verso gli altri, quella col tempo sta diventando solo rumore e poco autentica. Questo per quanto riguarda il futuro, la sfida di oggi invece è riuscire a emergere fra le centinaia di messaggi che riceviamo e produciamo ogni giorno. Questo è impossibile ed è per questo che già oggi applichiamo dei filtri. Lo facciamo ascoltando solo le persone che per noi sono importanti o affidandoci a siti, podcast, radio e canali che consideriamo affidabili. Il fatto che Internet sia una prateria sconfinata non vuol dire che noi vogliamo tutta questa libertà, non sempre.
E questo è senza dubbio un gran problema per i brand.
Ovviamente, se un brand riflette nel marketing e nelle strategie comunicative le sue idee, non funzionerà. Dovrà parlare con la voce delle persone a cui vuole rivolgersi. Se la tua azienda vuole parlare dei cambiamenti culturali, se credi in questi cambiamenti e fanno parte dei tuoi valori allora funzionerà, ma devi anche saperti evolvere e cambiare i tuoi prodotti per supportare le tue idee. Se produci bevande zuccherate devi stare attento, perché forse non è ciò che la società oggi vuole (le critiche ricevute da Pepsi per la sua ultima pubblicità ne sono un esempio). Devi essere sempre in ascolto per capire ciò che il pubblico oggi vuole, ma il problema è che molti oggi parlano di ciò che vogliono fare e come lo vogliono fare, ma quasi nessuno ti dirà perché vuole farlo. Perché pensi che la tua azienda abbia bisogno di un canale Snapchat, Telegram o Instagram se poi non ascolti il tuo pubblico di riferimento? Non devi essere ovunque se non hai una strategia per tutto, invece di allargare la tua comunicazione, impara a renderla più profonda.
E in questo panorama come possiamo inserire le intelligenze artificiali?
Credo che le aziende non stiano ancora usando le IA come dovrebbero. Pensano che si debba partire da piccoli granelli di informazione per costruire grandi database, i cosiddetti “big data”, ma la verità è che dovremmo invertire questo processo. Dovremmo partire da storie, ispirazioni e idee generali per fornire a ciascuno un contesto adeguato. Oggi abbiamo persone che controllano tutto il traffico social che arriva sulle pagine dei brand e cercano di rispondere, ma ciò che viene fuori non è quasi mai ciò che i clienti vogliano. Ognuno di noi quando parla con un’azienda vuole sentirsi speciale, vuole risposte immediate e precise e tutto ciò è impossibile con un umano che deve gestire 1000 messaggi al minuto.
Ma non è anche sbagliato un mondo in cui tutti hanno una opinione e tutti possono permettersi di parlare con le aziende da pari come se fossero degli esperti? È corretto un mondo in cui tutti hanno una opinione su tutto?
Nel 2007 parlai di una strategia molto semplice: “togli l’amicizia e smetti di seguire”, c’è voluto un po’ ma dopo dieci anni ci siamo quasi! Il problema ovviamene è che si rischia di finire in una bolla. C’è stato un periodo in cui tutti volevano il rock n’roll, ma se nessuno avesse mai cercato e ascoltato qualcosa di diverso non avremmo avuto il punk. Smettere di seguire è una scelta che va presa con coscienza, quando capisci ciò che ti piace capisci anche ciò che devi comunque conoscere. Dopo una iniziale sbornia di contenuti e la successiva mania di filtraggio oggi stiamo vivendo una fase di bilanciamento, soprattutto da quando le bufale e la post-verità sono sulla bocca di tutti. Vedere le persone che condividono notizie inventate non è più divertente, ti senti ingannato, fregato dal sistema. Una volta era tutto un “lascerò che sia il programma, il sito, il social a decidere cosa è meglio per me”, ma oggi c’è maggiore consapevolezza, oggi vogliamo costruire la nostra consapevolezza.
D’altronde una volta Internet era qualcosa che sceglievi di metterti in casa, oggi i nuovi telefoni hanno dato Internet a tutti, senza che ci fosse una sorta di preparazione.
Il problema è che adesso tutti credono di dover essere ovunque e in qualunque momento della giornata. La verità è che non è possibile e anche solo provarci è molto stressante. L’overdose di segnali è una delle principali cause di stress del mondo moderno. Soprattutto qua in Italia, dove la maggior parte della popolazione è connessa a Internet via telefono a causa della scarsità delle connessioni a banda larga. Usare un telefono per connettersi è un’esperienza molto diversa rispetto al farlo col PC, perché di solito sullo smartphone usi un numero di app limitato, ma per tantissimo tempo. In media usiamo non più di 5 app per la maggior parte del tempo. Possiamo credere avere un telefono in tasca ci dia infinite possibilità di collegamento, ma alla fine usiamo solo qualche app. Chi utilizza un telefono fin da piccolo si affeziona a due o tre app social e poi usa giusto qualche gioco, secondo me questo è un modo estremamente limitato di usarlo. Ormai il nome “telefono” non ha quasi più senso, visto che le chiamate vocali sono una delle funzioni meno usate!
Ed è anche grazie al telefono se il web è diventato un terreno di contenuti mordi e fuggi che poi dimentichiamo.
In quel caso probabilmente è colpa dei brand, che non sono in grado di creare contenuti che sia interessante tenere in vita. L’idea generale è che un contenuto muore non appena viene pubblicato, pochi secondi e poi sparisce. Invece dovrebbe essere quello il momento in cui inizia veramente a vivere, stimolando una conversazione. Per farlo però devi avere l’abilità necessaria per gestire e arricchire una conversazione, non molti marchi ne sono dotati. Ma le aziende fanno parte della nostra cultura, del nostro mondo, quindi devono essere consapevoli di far parte di un mondo che vive di conversazioni, non di spot da 30 secondi. A volte ci provano, magari hanno qualche fiammata, ma non dura mai. L’ansia di essere “virali” e creare “meme” è fortissima, ma certe cose non le ottieni a tavolino. Le aziende stanno iniziando oggi a capire come gestire una strategia che passa attraverso televisione, social e web, ma siamo ancora lontani.
Ma non è che forse la gente si è stufata della pubblicità e basta?
Molte aziende pensano solo a spingere il marchio in maniera eccessiva, ma non hanno capito che il 70% delle persone preferisce leggere di un’azienda che vedere una pubblicità. Non abbiamo paura di marchi, li indossiamo continuamente e siamo abituarli ad averli intorno, vogliamo solo un contatto differente rispetto al passato. Non vogliamo essere trattati ingenuamente, ma come persone intelligenti con cui si può parlare.
Una volta però era anche molto più facile parlare con le persone, perché per capirle bastava guardare ciò che loro guardavano. Una volta se volevi capire i giovani andavi su MTV, oggi chi racconta i giovani? Chi racconta le persone? Esiste ancora il mainstream?
Il problema del mainstream è che appena qualcosa che ti piace diventa di massa tu cerchi sempre di fare un passo indietro per tornare nella nicchia, sta accadendo ora con i social network. Ora la cultura popolare è fatta di molte dimensioni parallele. Ad esempio MTV esiste ancora, ma è diversa, invece della musica produce format televisivi di storie per ragazzi e sta tornando alle trasmissioni in diretta. Dal punto di vista musicale abbiamo Vevo, Spotify, Soundcloud che hanno frammentato l’offerta rendendola ancora più personale, sono una versione moderna di MTV in cui noi decidiamo che musica ascoltare. Al loro interno troviamo contenitori di musica pop, ma possiamo anche scoprire qualcosa di nuovo, proprio come facevamo con MTV. La differenza è che oggi un musicista con Soundcloud può accorciare tantissimo il contatto fra la sua musica e il potenziale pubblico. Il problema adesso è che con tutte queste grandi nicchie devi imparare a essere presente su più fronti, soprattutto se vuoi piacere a diversi tipi di pubblico. Oggi devi saper scrivere, parlare in un podcast, girare e montare un video, che ovviamente dev’essere breve, non basta più una cosa fatta bene. Oggi l’artista, il videomaker, il creatore di contenuti, il freelance e il pubblicitario e, più semplicemente, chiunque voglia trovare lavoro deve essere in grado di soddisfare un pubblico che sfrutta molti stimoli differenti e che è continuamene bombardato da notifiche di ogni tipo.
Ecco, parlando di notifiche, oggi il nostro rapporto col telefono è ossessivo.
Ma la colpa è nostra, non abbiamo ancora imparato a filtrare e pensiamo che tutto sia importante. La notifica dovrebbe essere un gesto intimo, personale. Sul mio telefono le notifiche principali sono quelle della mia compagna e di poche persone fidate. Ma è un rapporto sbagliato sotto molti fronti, pensiamo anche a quelli che durante un concerto devono registrare una canzone col loro telefono, a volte mi verrebbe voglia di urlare “Metti via quell’affare e goditi la serata, tanto non rivedrai mai quel video!”. Di recente sono stato a un concerto dei Portishead, prima dell’inizio hanno dichiarato “non usate i telefoni, registreremo il concerto e vi forniremo noi il video”, questo è un modo molto intelligente e consapevole di rapportarsi col proprio pubblico. Il mondo dei video oggi è probabilmente quello più invaso da contenuti spazzatura, quante volte cerchiamo qualcosa su YouTube e finiamo per trovare filmati sfuocati, con audio pessimo o, peggio ancora, un tizio che ci parla di qualcosa senza farcela vedere, ad esempio un trailer, solo per raccogliere qualche view? Se voglio vedere qualcosa voglio vedere quella cosa, non voglio ascoltare qualcuno che ne parla!
E questa frustrazione in cosa si trasforma?
Se mentalmente io so che dovrò filtrare tutta la spazzatura, se so che quella piattaforma non mi offrirà subito ciò che voglio alla fine presterò sempre meno attenzione ai suoi contenuti, farò un passo indietro e finirò per concentrarmi solo su cose che riconosco come affidabili. È un grande ciclo che si ripete, un po’ come con la moda. Passiamo da “in televisione non c’è niente” a 1000 canali, da qualche sito testuale degli anni ’90 ai social network, da qualche macchina per strada agli ingorghi e la risposta è sempre la stessa: fare un passo indietro, curare maggiormente la propria selezione e allontanarsi dal rumore.
Come si avvicina l’uomo di oggi alla rete e alla tecnologia?
Si chiude, in particolare i ragazzi. Rende privati i proprio profili, parla solo in gruppi Whatsapp, non vuole che le persone esterne possano vedere ciò che fa, non vuole essere parte del rumore, ma di una cerchia fidata. Siamo diventati una cultura che si basa sul permesso, un permesso che anche le aziende si devono guadagnare. La pubblicità e il marketing sono ancora vivi e vegeti, ma il legame col cliente è tutta un’altra storia.
Quali sono i valori delle generazioni che stanno plasmando il presente e il futuro?
Se guardiamo oggi un ventenne che si affaccia al mondo degli adulti, queste sono le informazioni che riceve: il lavoro non esiste, il mondo è incasinato, non avrai i mezzi dei tuoi genitori e partirai di sicuro svantaggiato. Ciò che ha funzionato per i genitori non va bene per i ventenni e forse neanche per i trentenni di oggi, c’è bisogno di un set di valori che si basi su concetti differenti. Se le cose hanno un prezzo ma tu non hai i soldi, finisci per dare più valore ai principi. Stanno cercando di costruire un nuovo mondo, così come i loro nonni stavano cercando di ricostruire dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per anni ci hanno detto che dovevi essere avido, che la vita era una corsa in cui dovevi arrivare primo, che dovevi fare tanti soldi e consumare, ma non ha funzionato molto bene, quindi è arrivato il momento del reset, di tornare alla gentilezza, ai rapporti umani, sempre mediati dalla tecnologia, ma differenti. Ho parlato con bambini di 10 anni che vedono i trentenni super distratti dalla tecnologia e li ho sentiti dire “non voglio essere così”. Le generazioni del passato influenzano quelle del futuro, ma spesso è un ciclo, non una linea retta. Oggi vediamo che i libri cartacei tornano a vendere, che gli LP tornano a vendere, perché dopo una sbornia digitale i ragazzi stanno tornando a preferire gli oggetti che possono toccare. Guardate Amazon, è passato dal vendere eBook ad aprire librerie e addirittura supermercati.
Ecco perché il mercato della nostalgia funziona sempre.
La nostalgia è un modo per dare concretezza alle esperienze effimere, per dargli un valore. La nostalgia ci serve per dare valore agli oggetti di oggi creando un ponte col passato. Funziona perché ci riporta indietro a quando eravamo più giovani, con meno pensieri e potevamo giocare per strada. Abbiamo bisogno di esperienze fisiche, ecco perché prendiamo ancora appunti sui taccuini, perché i libri da colorare, anche quelli per adulti, sono di moda. Dopo aver speso la maggior parte del tempo su cose che non hanno una fisicità hai veramente bisogno di qualcosa di reale.
Ma se peschi solo indietro come si innova?
C’è sempre una innovazione sull’idea di base. Magari prendiamo dalla musica degli anni ’80 ma ci aggiungiamo qualcosa, lo stesso facciamo con la moda. Si tratta di impilare concetti uno sopra l’altro, arricchendo qualcosa che c’era già, adattandolo al contesto. Oggi il nostro livello di attenzione è di circa 10 secondi, quindi un pezzo musicale, un video o un articolo devono catturarci in quel breve lasso di tempo. Questo è un dato di cui devi tenere conto anche se ti rifai al passato. E visto che guardiamo sempre indietro, il più grande regalo che puoi fare a qualcuno è la sorpresa, se riesci a sorprendere qualcuno avrai creato un contenuto interessante e di valore. Devi solo ricordarti che la creatività non parte pensando alla massa, ma alle nicchie.
Chiudiamo parlando di creatività, oggi il mondo del lavoro sembra volerla imbrigliare in riunioni, brainstorming e momenti ben precisi, ha senso?
Non funziona e non funzionerà mai. Per essere caotico e creativo ci vuole solitudine e ci vuole tempo. Spesso ottieni i risultati migliori quando non stai pensando creativamente, magari perché stai portando fuori il cane o sei a una galleria d’arte. L’importante è riconoscere i momenti in cui sei solo e hai tempo. I brainstorming non funzionano.