L'impresa del futuro tra efficienza e felicità
“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”
Adriano Olivetti
In questo momento storico così interessante, poiché dai cambiamenti si generano sempre nuovi spazi e grandi opportunità, non posso far altro che immaginare un mondo che verrà, la società del futuro. Gli enormi mezzi a nostra disposizione oggi sono in grado di modificare e migliorare le nostre abitudini lavorative, professionali e personali a patto che si incominci ad utilizzarli in maniera produttiva.
Il fondamento dell’orientamento di una società moderna – che immagino inclusiva, capace di sostenere i più deboli, di premiare il merito formando a una visione non individualista, competitiva ma portata alla crescita personale sociale e che tenga presente le esigenze delle nuove generazioni e mantenga dignitosamente contatto con quelle più anziane – può avvenire attraverso la cultura e la continua educazione. Cultura ed educazione sono strettamente legate, una sostiene l’altra, si muovono di pari passo. Educare significa educere, tirare fuori, allevare, quindi penso alla valorizzazione, al miglioramento di ogni essere umano, all’opportunità che ognuno possa svilupparsi al meglio in un dato ambiente. La parola cultura deriva dal latino, colere che significa coltivare; è un insieme di pratiche di comportamenti, approfondimenti volti alla cura di qualche cosa; in antichità la cura era rivolta verso gli dei, da qui il termine culto, che indica una serie di conoscenze organizzate in un sistema di saperi, opinioni, credenze, usi, costumi, comportamenti che sono propri di un gruppo umano, un’eredità a cui tutti siamo chiamati a contribuire e che definisce i rapporti all’interno del gruppo stesso.
Avrete intuito che Cultura ed Educazione sono due pilastri, due valori su cui costruire la società del prossimo futuro e orientare il nostro sguardo. È dalla cultura che scaturiscono i valori che divengono la colonna portante di una società, un orientamento indispensabile per poter far avanzare o al contrario in mancanza di cultura ed educazione far indietreggiare l’organizzazione di vita sociale.
L’agente di cambiamento più potente per realizzare questi due pilastri è l’impresa.
Fare impresa oggi è strettamente connesso e collegato al fare cultura ed educazione. Non può esistere una azienda che pensi solo al profitto. Chi lo ha ben compreso e lo ha presente nell’agenda strategica sta già raccogliendo risultati sia in termini economici sia in termini di benessere e sviluppo sociale.
La crescita culturale dei propri dipendenti e del management diviene un volano di impresa in grado di aumentare i fatturati e ridistribuire in maniera diffusa i profitti sulla comunità, rispettando l’ambiente; la crescita culturale genera crescita di business, il denaro ben investito genera una crescita sociale e ritorno di investimento.
La capacità di ridistribuire ciò che si riceve diviene quindi centrale nelle attività di qualunque gruppo imprenditoriale che sia industriale, tecnologico, di servizi, di logistica o altro, ecco perché è cosi importante la cultura e l’educazione.
Il termine cultura quindi definisce in maniera chiara il sapere generale di un individuo e di una comunità, quindi di una impresa.
Un fulgido modello fu certamente quello di Adriano Olivetti che, nel secondo dopoguerra, intraprese la creazione di una azienda unica al mondo che si distinse per i suoi innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale doveva essere reinvestito a beneficio della comunità. Olivetti credeva che fosse possibile creare equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l’organizzazione del lavoro era fondata su un’idea di felicità che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell’ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni e agevolazioni e in fabbrica durante le pause potevano servirsi di biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti; non c’era una divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti, potessero circolare ed essere condivise. L’azienda accoglieva artisti, scrittori, disegnatori e poeti, Olivetti riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma anche di individui in grado di arricchire il lavoro attraverso creatività e sensibilità culturale.
L’Olivetti è stata un modello straordinario di profitto e sviluppo sociale e individuale, un fiore all’occhiello dell’imprenditoria italiana nel mondo, un modello che forse potremmo ristudiare per definire al meglio il futuro delle nostre imprese. Guardare ai modelli di eccellenza per intraprendere un percorso di rinnovamento culturale imprenditoriale può orientare molte realtà ad avere una visione globale che passa dal benessere sociale per arrivare al profitto. Più saremo in grado di radicarci sul territorio generando benessere e sostenibilità più saremo sostenuti dal mercato, saper fare le cose e saper generare benessere in una comunità è la rivoluzione a cui siamo chiamati per il nostro comune futuro, che sia arrivato il momento realizzare questo sogno?