Cosa puoi imparare dagli esperimenti di Jeff Bezos
I continui esperimenti del fondatore di Amazon Jeff Bezos possono esserci utili in tanti modi.
Il primo è indurci a adottare la sperimentazione come cultura di base, un’abitudine molto meno consueta di quanto si possa pensare, perfino in questa nostra epoca che ricerca ossessivamente l’innovazione.
LA CULTURA DELLA SPERIMENTAZIONE
Sperimentazione fa rima con innovazione, non è vero? Certamente.
Eppure, le scelte della nostra economia e della nostra società sono sempre più guidate dai dati, dall’intelligenza artificiale e da sistemi di simulazione che chiudono il ventaglio delle nostre possibilità di azione.
Quando abbiamo in mente nuovi progetti, prodotti e servizi, questi strumenti e modelli tentano di dirci cosa succederà domani.
Così, nell’affrontare il cambiamento, questa cultura della previsione risulta molto più valorizzata e desiderata di quella della sperimentazione.
Tanto è vero che le tecnologie recenti ci stimolano ad anticipare i rischi piuttosto che insegnarci a prenderli, mentre alla base di ogni sperimentazione, c’è proprio in tentativo di provare strade nuove, prendendo dei rischi a piccole dosi.
Su questo fronte, dietro alla cultura della sperimentazione continua che è propria del fondatore di Amazon, c’è l’idea di dividere in due le scelte che abbiamo davanti.
Un primo genere è di una tale importanza da renderle capitali e irreversibili: sono le classiche decisioni da cui non si torna indietro; per questo vanno prese con calma, in modo collegiale, con metodo e accompagnati dalla massima ponderazione possibile.
Si tratta però di scelte davvero molto rare, mentre quelle più frequenti sono le scelte reversibili, che possono portare a errori non certo irreparabili.
Come si può intuire, la cultura della sperimentazione le divide molto nettamente.
In questo modo ci consente di non confondere mai i due contesti, e ci suggerisce di muoverci con una certa agilità nel campo delle scelte che possono essere prese molto rapidamente, prendendoci ampi margini per fare tentativi ed esperimenti.
SBAGLIARE BENE
Non ho fallito. Ho solo trovato 10mila modi in cui non funziona.
Non è una frase di Jeff Bezos ma di Thomas A. Edison, e fa entrare in scena, nel teatro della sperimentazione continua, un compagno di viaggio che va sempre preso sottobraccio: il fallimento è infatti un elemento con cui bisogna abituarsi a fare spesso alcuni tratti di strada.
Ed è proprio Bezos, in una lettera agli azionisti molto citata, a dire che fallimento e invenzione sono due gemelli inseparabili, così inseparabili da fargli scrivere che siamo (Amazon) il miglior posto del mondo in cui fallire (abbiamo un sacco di esperienza!).
Possiamo certo pensare che questo invito quasi scanzonato a sbagliare sia una sfida a buttarsi nel vuoto nata della presunzione di un uomo ricco che può permettersi tutto, anche qualche errore. Si tratta invece di un modo intelligente di accogliere e tollerare un’eventualità tra le più diffuse e allo stesso tempo dolorose.
Purtroppo, sbagliare costa caro a tutti, anche a chi se lo può permettere, ed è spesso uno stigma che la nostra società è sempre pronta stamparti addosso come simbolo di incompetenza oppure di inaffidabilità.
Sbagliare bene, invece, può essere una valida alternativa ed un prezioso fertilizzante per il nostro terreno, che poi diventa la base da cui si ramificano e prendono forma le nostre strade migliori.
Sbagliare bene crea un campo da gioco nuovo, in cui:
– i piccoli rischi sono ammessi, anzi incoraggiati;
– si cercano idee nuove che vengano da dentro l’organizzazione;
– spesso si fanno ipotesi alternative;
– si testa un prodotto/servizio A insieme ad uno B e poi li si mettono a confronto.
Per chi vuole innovare, sbagliare per sperimentare significa trovarsi sempre al Giorno Uno, quello in cui l’avventura comincia.
ERRORI INTELLIGENTI
Un’altra frase da epica della leadership recita così:
Tutte le grandi storie sono storie di errori e fallimenti.
Ed è vera, ma quali sono gli ingredienti precisi che consegnano a queste storie un lieto fine?
Nel grande mucchio di errori che possono portare al fallimento c’è di tutto: incertezza e indecisione, ritardi e incompetenza, ostinazione e disattenzione, presunzione e mancato rispetto dei tempi o delle regole, ed anche incapacità di comunicare…
Tra questi ci sono però errori riprovevoli, di quelli che sarebbe stato meglio non compiere e di cui non vantarsi, ed altri che sono lodevoli – come scrive la studiosa e docente ad Harvard Amy Edmondson.
Per ogni organizzazione, dice la Edmondson, è decisivo distinguerli e trattarli di conseguenza. Gli errori, infatti, se ben considerati, hanno una elevatissima funzione informativa. Ci dicono qualcosa, quasi sempre qualcosa di prezioso.
Diventano degli errori intelligenti se:
– sono stati il frutto di un’ipotesi o di un esperimento dietro cui era nascosta un’opportunità;
– ci danno informazioni preziose;
– non hanno costi insostenibili;
– possiamo valutarli e circoscrivere il contesto in cui producono delle conseguenze.
Oltre ad esserci errori intelligenti, la cultura della sperimentazione può dirci come è possibile affrontarli in chiave positiva e utile.
Sbagliare bene, infatti, può anche essere figlio di quella che Dorie Clark, nel libro The long game chiama pazienza strategica, ovvero la capacità di sopportare qualche dolorosa deviazione del percorso principale, a patto che aiuti a raggiungere la meta.
E questo aiuto arriva ad una condizione. Se e quando svilupperemo la capacità di conversione di errori e fallimenti in soluzioni nuove, migliori conoscenze dei problemi e di come sono andate le cose, capacità di lettura della situazione e prospettive utili a quella che sarà la sperimentazione successiva.