Coronavirus: 4 riflessioni che ci migliorano tutti
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Mascherine e gel antibatterici esauriti, supermercati presi d’assalto, mezzi di trasporto pubblici svuotati, eppure nessuno che abbia ancora capito con esattezza quanto la situazione là fuori sia realmente grave. La sensazione, così su due piedi, è che forse ci siamo lasciati un po’ prendere la mano, con buona pace del senso della misura. E allora, se proprio bisogna conviverci, cerchiamo di prendere il lato positivo: c’è qualcosa di utile, per così dire, che possiamo tirare fuori da questa vicenda? Cosa ci insegna questa epidemia che nel Nord Italia (per ora…) ha portato a fermare un po’ tutto e soprattutto a condizionare le giornate di molti di noi? Quelli che seguono sono pochi spunti, una base di partenza: cinque chiavi di lettura per capire che forse, oltre a farci preoccupare, il nuovo coronavirus può pure insegnarci qualcosa.
Coronavirus. Quelli che è meglio stiano a casa loro adesso siamo noi
Cercare di evitare il contatto con un contagiato dal virus seguendo la logica per cui potremmo finire contagiati anche noi è semplicemente umano. Possiamo davvero biasimare francesi, austriaci, spagnoli o chi per loro per guardare con diffidenza e prendere provvedimenti nei confronti degli italiani, quando noi stessi ci evitiamo camminando per strada o ci allarmiamo per un colpo di tosse o uno starnuto? No, infatti. Le precauzioni che i paesi europei hanno preso negli scorsi giorni sono sacrosante, e anzi, c’è da auspicarsi che le autorità italiane avrebbero fatto lo stesso. Però diciamocelo, è una sensazione strana: siamo passati in una manciata di giorni dal Paese che cerca di difendersi dalle invasioni a quello da cui gli altri si difendono. Quelli che è meglio stiano a casa loro adesso siamo noi. Che effetto fa?
Coronavirus. Riscoprire la bellezza di passare del tempo con i propri cari
Poi c’è un altro aspetto, un lato positivo da cogliere. Con circa trenta milioni di persone coinvolte dai provvedimenti restrittivi delle autorità, la conseguenza prevalente al di là della flessione di carattere economico è stata la riduzione drastica della socialità. Niente cinema, niente musei, niente teatri, niente vita notturna (o almeno non come prima), e soprattutto niente scuole e niente università, e meno lavoro in ufficio. In meno parole, ce ne stiamo di più a casa nostra. Quale momento migliore, quindi, per riscoprire la bellezza di passare del tempo con i propri cari, magari scegliendo di dedicare del tempo alla cultura casalinga mettendosi alle spalle – forzatamente, ma in fondo che differenza fa? – gli ostacoli della quotidianità?
Coronavirus. Forse l’Italia inizia a capire i vantaggi dello smartworking
Non solo. Come molti esperti del settore hanno osservato, già che ci siamo vale anche la pena fare una riflessione più ampia sullo smart working, il lavoro “da remoto”, il più delle volte da casa. Certo, non tutti se lo possono permettere, e non tutti i lavoratori sarebbero in grado di coordinarsi “virtualmente” dopo anni o persino decenni trascorsi in un ufficio. E allo stesso modo hanno senso, un senso profondo, le obiezioni di chi si allarma per un mondo sempre più connesso, sì, ma in cui le maglie della rete sono sempre più sottili e individuali. Eppure, i benefici che lo smartworking potrebbe portare in termini di tempo e non solo sono tali che vale la pena pensarci. Se non ora, quando? C’è un sottile fattore comune tra lo smart working e il nuovo coronavirus: entrambi hanno a che fare con un ambiente meno trafficato, e quindi più pulito. E se per quanto riguarda il primo si tratta (ancora) di un argomento potenziale – lavoriamo da casa, quindi ci spostiamo meno, quindi inquiniamo meno – per il secondo è un vero e proprio dato di fatto. Certo c’è poco di cui gioire, se si pensa ai danni forse irreparabili che appena cinque giorni di stallo rischiano di arrecare alla nostra economia, e se si accantonano quelli ancora più temibili di una diffusione su più larga scala. Eppure, volendo cogliere un altro aspetto positivo da tutta questa vicenda, il fatto che una città meno movimentata vada di pari passo con una città meno inquinata può rappresentare un appiglio che fa al caso nostro.
Coronavirus. Siamo sempre parte del regno animale e quindi della natura
Last but not least, una piccola lezione per così dire filosofica. Cosa ci insegna la reazione ansiogena al nuovo coronavirus, se non che il nostro rapporto con la natura non si presenta nel modo in cui siamo abituati a pensarlo – ovvero l’uomo superiore, sempre in grado di dominarla? La natura, e con essa gli imprevisti di cui il virus è soltanto una delle innumerevoli sfaccettature, non è al nostro servizio, e pensare di poterla dominare non è realistico. È un discorso estendibile ai cambiamenti climatici, al modo in cui li pensiamo e li affrontiamo, ed è al contempo la base razionale del pensiero ecologico: siamo parte di un ecosistema e dobbiamo saperci convivere, imprevisti compresi. A quelli di noi che non dimenticheranno la psicosi pubblica di questi giorni verrà meno da ridere di fronte ad un formicaio impazzito, la prossima volta.
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