Perché la compassione è meglio dell’empatia
Il termine empatia è ormai diventato parte del nostro linguaggio comune. Se ne parla in abbondanza, lo si invoca tutte le volte in cui si vuole indicare una risonanza emotiva con l’altro, un sapersi mettere nei suoi panni, una presunzione di sentire esattamente quello che lui prova, sia in termini emotivi, sia cognitivi, anche in virtù dei famosi neuroni specchio, scoperti per la prima volta dal gruppo di ricerca coordinato da Giacomo Rizzolatti.
L’empatia rappresenta uno strumento di lavoro per diverse figure professionali in cui l’ascolto e la comprensione del cliente o paziente rappresentano uno degli obiettivi fondamentali.
Tra i rischi principali che l’empatia comporta, però, vi sono la confusione tra i propri stati d’animo, pensieri e percezioni e quelli altrui, il senso di impotenza e frustrazione, soprattutto nel caso di dolore dell’altro, la difficoltà di ascoltare, contenere, accettare le emozioni, specie se molto intense, dolorose o distruttive, il burnout.
Forse anche per tale motivo, di recente si sta facendo strada un altro concetto altrettanto utile e benefico per le relazioni nonché per la nostra salute fisica e psichica: la compassione.
Cos’è la compassione
La compassione è un sentimento di partecipazione alle sofferenze altrui, senza giudicarle, con profonda accettazione, con il desiderio di volerle alleviare. Quest’ultimo aspetto induce ad agire per cercare delle soluzioni a lungo termine, non animate però da una urgenza emotiva a breve termine, ma anche e soprattutto da forte componente razionale e concreta, in virtù di un altruismo, responsabilità, interconnessione e generosità più ampi e diffusi a tutta l’umanità.
Per praticare la compassione occorre prima di tutto lavorare molto su se stessi in termini di attenzione, presenza, ascolto, comprensione, consapevolezza, rispetto, gentilezza, perdono. Fondamentale in questo processo, come ci ricorda anche il Dalai Lama e successivamente le ricerche neurofisiologiche, è imparare a gestire due ostacoli principali alla compassione: l’odio e la rabbia, che ci inducono a chiuderci in noi stessi, offuscano la mente, ci separano dagli altri, danneggiando noi e gli altri.
La compassione si può apprendere, come ha dimostrato Richard Davidson, neuroscienziato presso l’Università del Wisconsin, che ha analizzare gli effetti della compassione nel cervello, tramite la Meditazione.
Empatia e compassione: come si distinguono
Empatia e compassione condividono alcuni aspetti comuni e per certi versi tendono in parte a sovrapporsi.
Etimologicamente in origine i due termini avevano significati molto simili. Nello specifico per gli antichi Greci l’empatia indicava una relazione emotiva e partecipativa che univa l’autore-cantore al suo pubblico. Successivamente il significato viene ampliato a sentimenti non limitati alla mera comprensione del dolore, ma anche alla capacità di gioire insieme all’altro. In questo processo ci si dimentica di se stessi e si entra completamente nei panni dell’altro, senza giudicarlo. Questo di fatto, però, sembra accadere anche nel caso della compassione.
Pare che nella compassione si possa individuare una componente anche spirituale che trascende i singoli individui e si possa estendere all’intera umanità. Inoltre, secondo il monaco Thích Nhất Hạnh la compassione è un verbo, perché è un sentimento che non può essere disgiunto dalla giusta azione del conforto.
L’empatia, invece, può rappresentare il fondamento dello stabilirsi di una reciprocità. In essa il focus primario è il sentire le emozioni altrui, ma se queste sono violente, distruttive, rischiano di rispecchiarsi in noi e di travolgerci a nostra volta.
Metaforicamente si potrebbe affermare che l’empatia ci induce a osservare un ramo sfiorito e a percepire la delusione per ciò che manca, mentre la compassione ci spinge ammirare un ramo sfiorito e apprezzare il processo che condurrà alla maturazione di un frutto.
Empatia e compassione: come si attivano
Nell’empatia abbiamo compreso che è possibile sentire le emozioni dell’altro come se si fosse nei suoi panni. Nella compassione, invece, si è testimoni di tali vissuti emotivi, come se si assistesse alla proiezione di un film. Questa è una distinzione fondamentale perché consente alla persona compassionevole di attivarsi per la persona sofferente senza farsi travolgere dalle ondate emotive.
Questa distinzione non si riscontra solo sui piani del sentire e dei comportamenti, ma si verifica anche sul fronte cerebrale. Le aree del cervello che si attivano quando si vive l’empatia sono diverse da quelle della compassione.
Ad esempio: se si osserva una persona soffrire, in caso di empatia, nel nostro cervello entrano in funzione le medesime sfere cerebrali deputate a produrre tali reazioni. Nel caso della compassione, viceversa, in chi ascolta non si attivano le stesse aree cerebrali deputate al dolore, come nel parlante, ma quelle dell’affiliazione prosociale, che indicano che si ha a cuore la persona che si erge di fronte e si desidera attivarsi per aiutarla. In questo secondo caso le soluzioni utili e ragionevoli a lungo termine sono facilitate.
La compassione, pertanto, ci permette più facilmente di accettare, attivarsi, connettersi rispetto a quanto è in grado di fare l’empatia che, al contrario, può comportare il rischio di annebbiare la ragione, travolgere noi stessi e l’altro sul piano emotivo e ostacolare le soluzioni nel lungo periodo.
Coltivare la compassione in questo senso riduce il rischio di contagio emotivo, di stress, burnout, alimenta un senso di forza, competenza, fiducia, soddisfazione. Non solo a casa, in famiglia, tra amici, ma anche in ambienti professionali di cura la compassione può rivelarsi un vero toccasana.
Come la compassione può facilitare le relazioni
L’assenza di giudizio insita nella compassione e la completa accettazione dell’altro, dei suoi vissuti, delle sue reazioni (anche se non necessariamente si potrebbe essere d’accordo) permettono all’altro di aprirsi, svelarsi, fidarsi, e di costruire una relazione profonda con noi.
Costruire e alimentare relazioni intime è uno dei processi più difficili oggi, ma tra quelli di cui maggiormente abbiamo bisogno e che contribuiscono alla nostra felicità, soddisfazione, realizzazione crescita personale, e in molti casi anche professionale.
Nutrire la compassione significa imparare a stare accanto all’altro, senza interferire nella sua esistenza e con i suoi vissuti. Consente di essere presenti, attenti, accoglienti, disponibili. Aiuta a costruire un rapporto, nutre l’interesse, la profondità, l’intimità, senza sfociare nell’invadenza. Non ci fa invadere lo spazio dell’altro e al tempo stesso non ci fa sentire invasi dall’altro.
In aggiunta, la compassione non ci rende vittime dei moti emotivi, non rischia di invischiarci agli altri, non ci induce a prendere sul personale le situazioni, in questo senso non rischia di suscitare oppressione né depressione, non fa eco ai nostri traumi, ferite irrisolte, paure, attaccamenti, ma ci indirizza, grazie alla consapevolezza, verso l’equanimità.
In questa condizione le emozioni ci attraversano, noi ci limitiamo ad osservale, senza giudizio né la necessità di una reattività immediata. Questa disposizione interiore crea grande spazio dentro e un senso maggiore di libertà.
Come sviluppare la compassione
La compassione si può coltivare. Nelle culture orientali in modo particolare essa è una delle virtù dell’animo che sorge grazie alla pratica costante della Meditazione.
Attenzione, presenza, ascolto, osservazione, consapevolezza, essere nel qui e ora, non giudizio, accettazione sono le basi attraverso cui giungere a questa condizione interiore. Si tratta di un allenamento lento, paziente, quotidiano, amorevole, verso se stessi, gli altri, il mondo.
Egoismo, ansia, paure, attaccamenti, identificazioni ostacolano questo processo. Quando si abbandonano tali idee mentali e posizioni interiori la compassione sorge in modo naturale.
La compassione fa bene alla salute, nostra e altrui, favorisce le relazioni, stimola la serenità, la felicità, e rende il mondo un posto migliore in cui vivere e lavorare.
(leggi tutti i benefici scientifici della Meditazione )