Se vuoi fondare una startup, chiediti (onestamente) se sarà utile agli altri
Quando ero più giovane la mia generazione pullulava di gruppetti di ragazzi che si facevano la band. Non serviva avere nozioni musicali studiate o talento innato. Si improvvisava seguendo una passione. Si pensava al successo ma ci si divertiva anche a suonare senza avere pubblico, per il piacere di farlo. E non diventava quasi mai un lavoro.
Oggi, molti giovani si fanno la startup. Ma la startup nasce per essere un lavoro e un lavoro ha successo se propone qualcosa che serve agli altri; se entra nel mercato. O se lo crea, addirittura.
Eppure, queste startup sono sempre l’espressione di un sogno, della voglia di far conoscere agli altri l’intuizione nel cercare una soluzione a una necessità che troppe volte è solo di chi propone una specifica idea. È sufficiente inciampare nella mancanza di un servizio in una determinata situazione per concludere che se quel servizio va creato.
Ma è così semplice? Il mondo in cui viviamo, la quotidianità che condividiamo con persone (vicine e lontane) è davvero sprovvista di servizi così necessari? È vero, viviamo in un mondo che cambia a una velocità davvero maggiore rispetto al passato, anche recente, ma forse proprio questo dovrebbe suggerirci la domanda «Quello che vorrei fare è così necessario da resistere ai continui cambiamenti che vivo?».
La risposta è davvero complicata e, al di là di ricerche, studi e previsioni di mercato, vanno valutati alcuni aspetti forse anche più spigolosi dei semplici numeri.
Proviamo a risolvere in 4 mosse.
Cambiare la quotidianità delle persone
È la regola numero uno. Ho sempre scelto di chiamare “evento” qualcosa che cambia il mondo – non una bicchierata o una festicciola – e questo mi ha portato a pensare che se un’idea è buona è perché cambia qualcosa per sempre. Se all’idea che hai avuto occorrono le persone per funzionare, è a loro che deve cambiare la quotidianità. Non faranno più quella cosa nel modo con cui l’hanno sempre eseguita.
Il mercato dà ragione a chi cambia il modo di vivere delle persone, per sempre. A chi inaugura una nuova era, a chi conduce le persone a un nuovo punto di non ritorno.
Non sono i dettagli il primo aspetto
«Prova a disegnare un albero intero. Poi comincia a cancellare le foglie, poi i rami più piccoli e ancora i rami più grandi. Arriva fino a quando non si capisce più che è un albero e poi torna un passo indietro. Ecco, quello vuol dire essere albero». Me l’ha insegnato la creatività e lo penso sempre di ogni idea nuova che mi viene in mente. E invece quando senti qualcuno che pensa alla sua startup, sempre pieno dell’idea avuta, assisti ad un pedigree in cui i dettagli si fondono tra loro, il progetto diventa sempre più articolato perché sono proprio i dettagli che fanno il valore unico di un progetto. No invece, il plus è tutto quello che rimane se togli i dettagli: se non funziona allora vuol dire che quella band non suonerà bene. L’idea di una nuova impresa è unplugged.
Se vale solo per te, non farlo
Non basta che la tua idea sia essenziale per costruirci un’impresa viva sul mercato. La condizione necessaria è che essa copra la necessità del pubblico a cui si rivolge (perché deve esserci un pubblico specifico a cui proporsi). Troppo spesso, invece, le startup rappresentano l’elogio dell’intuizione in cui il successo verrà raggiunto quando il mondo si accorgerà che ho avuto una fantastica idea. Magari poi ne avrò anche un’altra! Non è così. Le idee funzionano se servono a qualcuno e se diventano la risposta a una necessità delle quale non si può più fare a meno.
L’innovazione è un metodo necessario agli altri
Perché un’azienda sia innovativa – e la startup deve esserlo quasi per definizione – non è sufficiente proporre al pubblico un’idea nuova. L’innovazione è la risposta a una necessità inaspettata che prima non c’era e che, da un certo punto in poi, si ripete costantemente. Fare un ristorante itinerante su un bus, ad esempio, non è innovativo. È semplicemente un nuovo modo di fare la stessa cosa di sempre: la ristorazione. Piuttosto va sottolineato che l’innovazione non si verifica quando viene proposto un nuovo servizio, ma dal momento in cui questo nuovo servizio viene gestito in maniera innovativa. L’innovazione Apple – tanto per scomodare un brand conosciuto da tutti – non è nell’aver inventato un sistema informatico che prima non c’era (per il quale ha avuto subito un competitor) ma nel modo con cui lo propone al mondo in termini di servizio e che studia ed evolve costantemente. Entrare in un negozio Apple, comprare un oggetto, pagarlo e andare via senza aver parlato necessariamente con un commesso è un sistema che cambierà il modo di acquistare qualsiasi oggetto in qualsiasi settore commerciale.
È difficile fare i conti con la propria idea quando, in discorso come questo, uno degli interlocutori chiama in causa nomi altisonanti come Apple, Google o Amazon, ma è altrettanto vero che se vuoi imparare a suonare un determinato strumento musicale tu debba ascoltare Vivaldi, Bach, Chopin o altri autori di questo livello. In uno scenario in cui il dato sensibile diventa la durata che ha una startup sul mercato e considerando gli investimenti che comunque vanno previsti, prima di arrivare al business plan, alla ricerca di investitori e incubatori, è necessario confrontarsi con questi indici che sembrano appartenere di più alla filosofia dell’impresa piuttosto che al mercato e al profitto. Del resto anche un investitore, prima di scegliere quale idea finanziare, valuterà questi aspetti o, quantomeno, chiederà a chi propone un’idea se questi aspetti sono stati valutati.
Forse il risultato sarà quello di aver infranto il sogno di qualcuno o di aver messo sul tavolo gli strumenti per farlo a pezzi, ma è meglio avere in mano i pezzi di un sogno, piuttosto che di un insuccesso economico. Del resto, ogni notte posso fare un sogno nuovo ma non posso fare un’impresa nuova ogni volta che se infrange una.