Come fare la scelte corrette nel lavoro e nella vita?
“Esistere significa «poter scegliere»; anzi, essere possibilità”.
Già un paio di secoli fa il filosofo Soren Kierkegaard, con queste parole, ha messo in luce quanto la dimensione della scelta fosse fondamentale, se non costitutiva, per la natura umana.
Il colore della nostra auto, il nome dei nostri figli, la casa dove abitare, i mobili da acquistare, dove pranzare, quale film vedere la sera: dalle dimensioni più semplici a quelle più complesse la nostra vita è costellata di scelte alle quali – che ci piaccia o meno – non possiamo sottrarci.
Ma come possiamo essere sicuri di aver preso la decisione corretta? Quali processi e quali strategie possiamo mettere in atto per muoverci correttamente quando siamo a chiamati a prendere decisioni importanti?
Un po’ di storia in questo senso può aiutarci. Il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman ha teorizzato qualche anno fa l’esistenza di due sistemi di pensiero.
Il sistema 1 (così lo ha chiamato sottolineando che avrebbe potuto chiamarsi indifferentemente anche Joe o Bob) è quello basato sulle decisioni spontanee, intuitive, “di pancia”, prese sull’onda di emozioni e di processi non razionali. È ciò che forma la nostra “prima impressione” e che salta immediatamente alle conclusioni.
Il sistema 2 è – all’opposto – quello razionale, analitico, che riguarda le decisioni prese dopo ponderate riflessioni. Nella nostra vita di tutti i giorni il sistema 1 è quello che usiamo maggiormente conducendo la nostra esistenza con il pilota automatico e riferendoci al sistema 2 solo quando siamo in effettiva difficoltà nel dirimere le questioni con il sistema 1.
Il sistema 1 si basa sul tentativo di dare una spiegazione coerente del mondo che ci circonda ed è soggetto a un numero elevatissimo di bias cognitivi (e.g. hindsight, falsa correlazione, conferma, overconfidence e moltissimi altri). È quindi suggerito di ricorrere al sistema 2 ogni volta che possiamo esaminando le alternative in modo mirato e preciso. Ma quanto siamo in grado di farlo? Quanto siamo bravi a comportarci effettivamente come decisori razionali? La psicologia cognitiva ci dice che l’essere umano è un pessimo decisore razionale.
D’altro canto – e in direzione apparentemente opposta – il paradosso di Fredkin afferma che tanto più due alternative ci sembrano attraenti e più ci appare difficile scegliere, più la scelta sarà meno rilevante. Avete capito bene: le scelte complesse, secondo questa teoria, sono – o perlomeno dovrebbero essere – le più semplici da prendere perché non lasciano spazio a considerazioni di natura differente o ad alternative.
La soluzione? Temo, purtroppo o per fortuna, non ci sia la ricetta perfetta ma possiamo sicuramente avere consapevolezza dell’esistenza di entrambi i sistemi e muoverci di conseguenza nella speranza di bilanciare adeguatamente le dimensioni razionali e quelle emotive che sono – è bene sottolinearlo – altrettanto importanti.
Non dimentichiamo però il monito di Milan Kundera che ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” fa dire al protagonista: “Se la prese con se stesso, ma alla fine si disse che in realtà era del tutto naturale non sapere quel che voleva. […] Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato.”
In un certo senso, è un pensiero rassicurante.