Allenati, sbaglia, ripeti: così lo zen ti aiuta a essere più creativo (e produttivo)
«Ogni mattina io salto giù dal letto e mi metto a camminare su un campo minato. Il campo minato sono io. Dopo l’esplosione, passo il resto della giornata a rimettere insieme i pezzi. È il tuo turno, adesso. Salta!»
Questa citazione è di Ray Bradbury e compare in un libro che si chiama “Lo Zen e l’arte della scrittura”. Nel volume l’autore di Farenheit 451 offre non tanto consigli su come scrivere ma su come trovare la mentalità giusta per farlo, di quanto sia importante conoscere sé stessi per potersi mettere in gioco e far uscire le parole che sentite il bisogno di far uscire.
Non voglio in questa sede mettermi a discutere su cosa sia lo Zen e come sia importante applicare una filosofia del “momento presente” in ogni ambito della nostra vita, anche perché spesso e molto difficili e non riesco io stesso ad applicare questi principi, preso come sono dal mondo che ci circonda.
La cultura Zen è strettamente legata al gesto, alla ripetizione come perfezione, al momento in cui il pensiero si annulla e conta solo l’azione. È una filosofia che viene applicata in moltissime discipline legate alla cultura giapponese in cui la mano che traccia un segno col pennello può essere la stessa che impugna una spada di kendo. Non c’è esitazione all’interno di un puro gesto zen, perché quel gesto è diventato così tanto parte di te che il tuo corpo lo esegue senza che la mente venga coinvolta. È la memoria muscolare dell’atleta che non pensa, fa. Il motto di Yoda di Star Wars, che non a caso incorpora dentro di sé l’aspetto, i modi e molte delle filosofie di un maestro Zen, era “Fare o non fare, non c’è provare”.
Questa filosofia non ci è sconosciuta, ma è abbastanza lontana da un pensiero occidentale che è stato per molto tempo dominante. Per noi l’artista, il genio, è quello che crea un pezzo unico, il concetto di originalità assoluta, rispetto a opere precedenti e alle stesse regole di genere, è concetto contemporaneo, nato col romanticismo; l’arte classica era in vasta misura seriale e le avanguardie storiche han messo in crisi in modi diversi l’idea romantica della creazione come debutto assoluto.
Per la filosofia zen invece la ripetizione è essenziale, in quanto unico modo per raggiungere la perfezione. La via dello zen è un cammino fatto di pazienza, perseveranza e autocritica. Un cammino che può sembrare lontano da un’attività varia e creativa come la scrittura, ma non è detto che sia così. Ciò che è invariato nello Zen è il gesto, l’esecuzione, tutto il resto cambia e possiamo adattarci al cambiamento solo se siamo totalmente padroni dei nostri strumenti.
Prima e dopo la scrittura la nostra mente può e dev’essere piena di idee, dubbi, incertezze, questi sono gli ingredienti principali che permettono alla nostra creatività di funzionare. Tuttavia, nel momento in cui poggiamo le mani sulla tastiera o prendiamo in mano una penna tutto ciò deve sparire per trasformarsi in un flusso spesso inconscio. Quell’alchimia segreta e bellissima che spinge le persone a dirti “ma dove prendi le tue idee?”.
È un discorso che si lega in parte a quello che già abbiamo fatto riguardo alla creatività. La scrittura dev’essere un esercizio quasi monacale, un rito fatto di ripetizioni in cui lentamente prepariamo il nostro cervello a farsi da parte per lasciare spazio a quella parte di noi che ci consente di tirare fuori il concetto che vogliamo esprimere senza doverlo pensare. Lui è lì, dobbiamo solo raggiungerlo e metterlo per iscritto.
Certo, dopo ci sarà spazio per correggere quella frase che non torna o limare quel concetto, ma il cuore di ciò che scriviamo è là e lo abbiamo già trovato. Questo è fondamentale soprattutto di questi tempi, tempi in cui il lavoro di scrivere su internet spesso richiede tempi di esecuzione brevissimi e articoli che devono essere precisi, concisi e scritti bene già da subito. Si lega anche all’idea di un allenamento che dura anni ma che dà i suoi frutti proprio quando ce n’è bisogno. Un’esecuzione perfetta e totalmente naturale che nasconde anni e anni di errori e preparazione.
Perché la fortuna esiste, ma non può essere l’unico porto a cui uno scrittore deve fare riferimento. La fortuna spesso è solo un altro nome per la preparazione. Per quel momento in cui il treno è passato e tu avevi la valigia pronta, dopo esserti allenato anni e anni a prepararla in modo perfetto.