Empowerment
I cinque errori più comuni nel proporsi alle aziende
Di
Giulia Blasi
Giulia Blasi è scrittrice, autrice e conduttrice radiofonica.
Fa parte della redazione del periodico digitale di Treccani, Il Tascabile, e ha all’attivo una lunga esperienza come content e community manager nella rete italiana.
Il suo ultimo romanzo si intitola Se basta un fiore (Piemme, 2017).
È una giungla, là fuori. Poco lavoro, quasi tutto sottopagato; stage interminabili a cui si succedono altri stage interminabili; flessibilità solo in uscita. Lo sappiamo. E proprio per questo, con la stessa determinazione con cui chiediamo un mercato del lavoro meno invivibile, cerchiamo anche di non rovinare le nostre già scarse possibilità con comportamenti e strategie che ci inquadrano subito come “uno che non sa quello che fa”. Cosa che, a differenza di Gesù sulla croce, i datori di lavoro non perdonano.
- La mail con il curriculum, senza lettera di presentazione, con tutti i destinatari in chiaro.
Sembra assurdo, e in tanti direte: eh, ma le basi. E invece è il 2017 e c’è ancora chi, per candidarsi a non si sa bene cosa, manda mail con un curriculum in allegato e venti mail in chiaro di aziende varie, spesso in concorrenza fra loro.
Sembra quasi un modo per lavarsi la coscienza: oh, io l’ho mandato, se non mi rispondono è colpa loro, mica mia. E invece no. Perché la prima reazione di chi vede la tua mail – soprattutto se lavora nelle risorse umane, ma anche e soprattutto se la mail è arrivata all’indirizzo di contatto di un profilo Instagram aziendale, per dire, ovvero: neanche la fatica di trovare quello giusto – è che non te ne frega niente di lavorare per nessuna delle aziende a cui hai mandato, di malavoglia, un curriculum che nessuno leggerà mai.
La strategia giusta è la seguente: indirizzo delle risorse umane (spesso puoi ottenerlo anche dai community manager che gestiscono le pagine pubbliche delle aziende); lettera di presentazione sintetica in cui spieghi perché ti piacerebbe lavorare per l’azienda in questione e cosa potresti portare; se ti candidi per uno stage, la tua formazione. Infine, in allegato, il curriculum.
Semplice. Chiaro. Corretto. - La mail in cui ti candidi per fare l’influencer per l’azienda sbagliata.
Questo succede molto con i marchi di moda, e ha a che vedere con quello che dirò in seguito sul fare bene le proprie ricerche. Lo metto all’inizio perché mi riempie di una straordinaria ilarità, e perché ha a che vedere proprio con il concetto di appropriatezza e contatto con la realtà: se vorresti essere vestito gratis et amore dei dai grandi marchi dello stile italiano e il tuo Instagram sono solo foto di te in costume da bagno che mostri pettorali e glutei, lo stai facendo sbagliato.
Scrivi a quelli che fanno costumi da bagno come core business. Magari funziona? Ovviamente vale per tutti i settori: prima di proporsi, verificare – anche solo a occhio – di essere la persona giusta.
- La mail a casaccio, tanto è uguale.
Dicevamo, quindi: ogni azienda ha delle specificità, e ogni azienda produce cose diverse, ha approcci diversi al mercato, toni di voce diversi. Prima di candidarti per una posizione aperta, fai qualche ricerca, cerca di capire a chi scrivi, se potresti essere la persona adatta per loro e loro per te, ché la relazione di lavoro è a doppio senso di marcia.
- Lo stage sopra i trent’anni (ma pure sopra i venticinque)
Lo stage è un periodo formativo. Entri in azienda non come lavoratore in prova, ma per imparare a lavorare: se tutto va bene e le persone che ti hanno preso sono brave a insegnarti quello che ti serve, allo stage segue un contratto di lavoro. Le aziende serie fanno così, ma le aziende serie non prenderebbero in stage un lavoratore di trent’anni che da sei o sette fa solo stage in serie. Perché due sono le cose: o in tutto questo tempo hai fatto stage in serie in tutte le aziende che capitava, senza sapere cosa volevi fare nella vita e senza motivare l’azienda a offrirti un contratto, oppure hai una curva di apprendimento problematica. Dopo una certa età, non candidarsi agli stage è forma che diventa sostanza. Lo stesso vale per i lavori gravemente sottopagati. Non prendeteli. Sono un pessimo investimento del vostro tempo e non risolvono il problema di pagare l’affitto. - Non sapere cosa vuoi veramente
Metterlo in fondo sembra assurdo, no? E invece forse solo mettendo a fuoco un po’ di errori già fatti si può arrivare a capire che non c’entra niente l’essere choosy, come diceva, orrendamente, Elsa Fornero. C’entra capire quali esperienze possono essere utili a crearsi un percorso lavorativo e quali no, e fare una selezione di conseguenza. C’entra, quindi, capire che percorso lavorativo si vuole avere, idealmente e nel concreto. Inutile fare mille stage presso aziende produttrici di prosciutti se i nostro obiettivo è lavorare nel settore delle automobili; inutile disperdere le energie in esperienze mal retribuite che non aiutano a costruirsi una professionalità. Fermarsi, domandarsi cosa si vuole, e incamminarsi in quella direzione. Per riprendere la metafora iniziale: è una giungla, là fuori. Ma se sai a che albero vuoi arrivare, ti sarà più facile trovare anche la liana a cui aggrapparti.