Restituiamo al cibo la sua dimensione energetica e vitale
Se detesto tutto il parlare che si fa di cibo, se detesto i reality sul cibo, se detesto i fanatici che demonizzano certi cibi e credono che altri ti aprano le porte del paradiso, se detesto i ristoranti dove ti tengono lezioni su quello che stai per mangiare, se insomma il cibo non è fra i miei primi cento argomenti di conversazione, non è perché detesto il cibo ma anzi è proprio perché lo rispetto. Per parafrasare un famoso detto, non é il cibo che mi disturba, sono i suoi fan. I cuochi che da bravissimi artigiani del cibo assurgono al ruolo di Venerabili Maestri, le guerre di religione dichiarate dai vegani al resto del mondo e l’intolleranza del resto del mondo contro gli integralisti vegani, le diete miracolistiche, lasciatemi dire che tutto questo mi sembra rientrare nella sfera della psicopatologia. Il senso del cibo non sta nel cibo, il senso del cibo sta nella sua natura vitale. Il cibo è una necessità, trasformare la necessità in piacere e anche in arte è ovviamente splendido, ma direi che sarebbe meglio fermarsi qui.
Se mi passate il paragone, dovremmo fare come Bruce Lee. Quando le arti marziali erano divise in mille stili diversi, ognuno dei quali autoreferenzialmente portato a ritenersi l’unica Vera Dottrina, arrivò Bruce Lee a spazzare via tutto mostrando che gli esseri umani sono comunque superiori a qualunque stile e formula e creando una arte marziale totale – il Jeet Kune Do – che a seconda della necessità prendeva mosse da tutti gli stili. Ecco, non vi sembra che dovremmo fare così anche con il cibo? Non vi sembra che si dovrebbe prendere qualcosa da tutti i cibi, liberarsi dalla gabbia degli integralismi alimentari, e soprattutto ascoltare il proprio corpo e le sue profonde esigenze? Se si fosse occupato di alimentazione, sono sicuro che Bruce Lee ci avrebbe detto che la migliore attitudine è quella di variare i cibi di cui ci nutriamo senza troppo sbilanciarci in un senso o nell’altro e comunque senza mai sovrabbondare in quantità. Se a me piacciono molto i luoghi – da Eataly ai semplici supermarket – che offrono tante opzioni, è proprio perché credo che per modellare su se stessi la propria alimentazione sia necessario avere a disposizione le più ampie possibilità di scelta.
Personalmente, le mie abitudini alimentari getterebbero nella costernazione dietologi, cuochi, fanatici salutisti. Tanti non ci credono vedendo i miei non abbondanti chili sui miei non pochi centimetri, ma mangio famelicamente tutto il giorno senza quasi mai mettermi a tavola. Soprattutto faccio colazioni, tante colazioni – o al massimo brunch – distribuite lungo l’intero arco della giornata. Sono anche arrivato a teorizzare questa attitudine, perché in questo modo – che esclude quelle pratiche dove dopo il piacere alimentare arriva la punizione digestiva – mi sembra di convincere il mio organismo che a qualunque ora del giorno tutto sta sempre per cominciare. Faccio così non soltanto perché mi piacciono soprattutto gli alimenti legati alle colazioni o ai brunch, ma innanzitutto perché questo modo di nutrirmi sento mi dà quelle energie di cui il mio corpo ha bisogno per fare la vita che faccio. Naturalmente è un modo di nutrirmi che non mi sognerei mai di additare ad altri come esempio: quello che invece mi sento di affermare è che nessuno sa istintivamente come nutrirsi più e meglio del nostro corpo. Non è facile ascoltarlo, perché siamo portati a seguire abitudini e idee indotte dall’esterno, e poi perché di tanto in tanto, in relazione alle esigenze del momento, il corpo stesso cambia idea. Ma alla fine è cosi’, vale per il cibo come per ogni cosa della nostra esistenza: tutto quello che potenzia la nostra vita è buono, tutto il resto no.