Chi non gioca perde un pezzo di sé
Nel corso degli ultimi anni si sono moltiplicate le piattaforme di gioco e le logiche del gaming hanno iniziato a permeare ogni ambito della nostra esistenza. I prossimi anni, complice anche la “nuova normalità” post Covid, saranno di sicuro il terreno di gioco di nuove e sorprendenti celebrità, già oggi protagoniste su YouTube, Twitch, TikTok & Co., come ad esempio Favij, St3pny, CiccioGamer89 e molti altri.
I Gamer e gli eSporter – molti dei quali sono già famosi e strapagati – saranno sempre più corteggiati dalle aziende e la loro influenza surclasserà quella dei molti blogger che in questi anni ci siamo abituati a vedere sui social media e anche in tv.
Non avranno nulla da invidiare alle molte star del fashion, del food e dei molti ambiti in cui oggi brillano stelle nate online come Chiara Ferragni, ClioMakeUp, Benedetta Rossi, Gianluca Vacchi e molti altri.
Una grande opportunità per molti, ma il gioco – e non soltanto quello online – è molto più di questo e riguarda tutti, a tutte le età e senza nessuna distinzione.
O almeno dovrebbe.
L’importanza del gioco in età adulta
Sono molti gli adulti che hanno smesso di giocare e che considerano questa attività non indispensabile per una persona matura. Un grave errore, perché il gioco non è soltanto un passatempo o un modo per evadere dalla realtà, ma una componente fondamentale della vita di ciascuno di noi.
Chi non gioca mette da parte – e spesso uccide per soffocamento – una parte importante di sé, che rischia di perdere per sempre. Così come lo sport, infatti, il gioco è soprattutto pratica, allenamento, desiderio, voglia. Per molti è anche ambizione e in alcuni casi addirittura un vizio, ma sottovalutare questa componente è un gravissimo errore.
Giocare non è infatti un lusso che gli adulti non possono permettersi in quanto non produttivo. Tralasciando il fatto che per alcuni il gioco sta diventando una fonte di reddito, smettere di praticare questa attività perché infruttuosa sarebbe come smettere di mangiare per non spendere soldi. Nel secondo caso gli effetti sono visibili a breve termine e portano addirittura alla morte, ma anche smettere di giocare comporta rischi da non sottovalutare. Rischi che non riguardano soltanto chi si priva di questa attività, ma anche – se non soprattutto – la sua famiglia e le persone che frequenta.
Si gioca da sempre, un perché ci sarà
Il gioco non è un vezzo dell’uomo moderno. Ci sono tracce di numerose forme di questa attività pressoché in tutte le epoche, a partire dalle più remote. Il suo ruolo e la sua importanza erano già evidenti a molti filosofi della Grecia antica e il valore del “ludus” era ben noto ai romani e, più avanti, agli intellettuali di ogni periodo.
Abbondante è anche la letteratura al riguardo. Nel libro “Homo Ludens” di Johan Huizinga, pubblicato nel 1938, il gioco è visto come come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale. L’autore rileva inoltre come esso rappresenti un fattore preculturale, com’è evidenziato dal fatto che anche gli animali giocano tra loro.
Giocare non soltanto ci aiuta ad evadere dalla quotidianità e ad esplorare nuove dimensioni e mondi, ma allena la nostra mente ad uscire dagli schemi e a vagare liberamente, prendendo dei rischi che normalmente non comportano pericoli reali. Ad esclusione dei giochi d’azzardo e di quelli in cui si mette in palio qualcosa di concreto e reale, l’unico rischio correlato a questa attività riguarda la capacità di gestire vittoria e sconfitta, nel rispetto di sé stessi e degli altri. Il gioco è dunque anche una palestra di conoscenza profonda di sé e di gestione dei rapporti e dell’interazione con gli altri.
L’importanza di mettersi in gioco
Molti sono anche i modi di dire legati all’attività ludica. Tra questi l’espressione “mettersi in gioco” è assolutamente illuminante. La si usa, ad esempio, quando si vuole incitare qualcuno a provare qualcosa, a rischiare, ad uscire dalla propria comfort zone e a replicare nella vita reale quella che è una dinamica tipica del gioco. Gli adulti che non lo fanno più sono molto meno allenati a farlo e tendono a vivere la propria esistenza in modo più statico e routinario. Smettere di giocare significa, tra l’altro, diminuire in modo drammatico la propensione a vedere le molte possibili sfaccettature della realtà, finendo per vedere soltanto bianco e nero.
Nel gioco le cose funzionano diversamente. Da ragazzini potevamo giocare per ore con lo stesso giocattolo e fare con esso centinaia di giochi diversi, perché gli sviluppi del gioco sono molteplici e non sempre prevedibili.
Mettersi in gioco significa accettare la sfida dell’aleatorietà, non come sintomo di propensione al rischio o all’azzardo, ma come segno di elasticità mentale, di capacità di adattamento, di resilienza e di saggezza. Quella stessa saggezza che ci fa distinguere le infinite sfumature del mondo e ci permette di apprezzarle, anziché considerarle occasionali incidenti di percorso, non degne della nostra attenzione e del nostro tempo.