#CentodieciTip: Confida sulle amicizie più leggere, basta solo sorridere
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Nel 1973, il sociologo Mark Granovetter, allora docente alla Johns Hopkins University di Baltimora, parlò per la prima volta di “legami deboli”: quelli che si instaurano con facilità senza aver bisogno di sovrastrutture. Quelli che nascono da gesti gentili come un «grazie» al proprietario del bar sotto casa, o una parola scambiata con la donna che ogni giorno vediamo portare fuori il cane nello stesso parco in cui portiamo il nostro.
Come spiega nel suo rapporto, questo tipo di connessioni sono in grado di influenzare positivamente le nostre prospettive lavorative (ad esempio non è detto che quella donna non conosca qualcuno del nostro stesso ufficio. Cose del genere capitano meno raramente di quanto si pensi), ma possono avere anche un impatto positivo sulla nostra giornata, «aiutandoci a sentirci più connessi con quanti ci circondano», come emerge dalle ricerche dell’esperto. Vi sono altri studi che alimentano una simile ipotesi, dimostrando come i legami a basso rischio e coinvolgimento come quelli con i vicini di casa o con i compagni di classe da rivedere occasionalmente stimolino la nostra empatia, facendoci sentire meno soli e contribuendo a creare nella nostra testa l’idea di appartenere a una comunità.
Come spiegò all’epoca Granovetter, comunque, la creazione di quelli che definì «piccoli mondi» aiuterebbe a raggiungere i propri obiettivi soprattutto in ambito lavorativo.
Dalla sua analisi infatti emerse che solo il 17% di coloro che avevano trovato lavoro grazie a una conoscenza fosse stato informato da un amico o da un parente: la maggioranza aveva infatti ricevuto l’indicazione da persone incontrate di rado, come ex-colleghi, turisti conosciuti durante una vacanza o amici di amici. Non solo. Attraverso Facebook, Instagram (e ora anche TikTok, perché non si sa mai), i nostri piccoli incontri potranno continuare a esistere, mantenendosi vitali e apportando, senza impegnarsi troppo, un contributo nelle nostre vite.
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