Centodieci al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Standing ovation sul palco più importante
Ci sono palcoscenici diversi. Succede nella vita, succede nella danza.
Ci sono palcoscenici diversi perché alcuni sono più importanti di altri, perché il pubblico che ti giudica è più competente o molto più profano, perché quando vai in scena ti giochi tutto o non ti giochi molto, perché quando rincorri un sogno lungo una vita arriva il momento in cui ti devi svegliare o continuare a sognare.
A Spoleto, di questi giorni, c’è un palcoscenico diverso. Il Festival dei Due Mondi è un evento di richiamo internazionale, nella splendida cittadina umbra arrivano turisti da ogni parte del globo per assistere, sentire, assaporare e vivere l’arte. Una sera suona il maestro Riccardo Muti, qualche sera prima danza Eleonora Abbagnato, c’è Roberto Bolle e, nel palinsesto del festival spoletino c’è anche la nostra Simona Atzori con Centodieci. Dopo oltre 60 serate sparse per l’Italia nell’ultimo biennio Simona e il suo gruppo di ballo sono arrivate lì, sul palcoscenico diverso, il più importante.
Nella splendida cornice del Teatro Romano “Abbiamo 1.200 paganti e l’evento è sold out” ci racconta lo staff locale, “qui c’è un pubblico abituato e molto esigente, se qualcuno dovesse alzarsi non fatevi problemi e continuate a danzare, è tutto normale”. C’è un po’ di tensione nel dietro le quinte, Salvatore Perdichizzi e Marco Messina hanno dovuto dare forfait per un contrattempo dell’ultima ora e lo spettacolo scritto, ideato, vissuto e messo in scena in oltre 60 occasioni su e giù per l’Italia prevede la loro presenza. L’arte però non ha confini, Simona decide di portare sul palcoscenico, oltre alla danza, anche la pittura: con lei ci sono le ballerine amiche da una vita Mariacristina Paolini e Beatrice Mazzola, “Una stanza viola” non è lo stesso, non c’è stato nemmeno il tempo di provarlo per davvero, proprio sul palcoscenico più importante.
Si apre la serata, il teatro all’aperto è pieno, le tre Donne volano sul palco per quasi un’ora, Simona ci aggiunge la pittura creando un quadro che sarà poi donato al Festival. Nessuno si alza, mai. Dopo 50 minuti parte un timido applauso che timido resta, vedere danzare e dipingere una donna senza le braccia forse colpisce, ma su quel palco non esiste compassione. Parte il Magnificat, qualcuno si alza, e applaude. Parte l’Hallelujah con la voce di Alexandra Burke, è il momento in cui il cast normalmente saluta il proprio pubblico, pubblico che in questo caso si alza, e applaude. E applaude. E applaude ancora. Tutto il teatro è in piedi in una standing ovation che dura 5 minuti sul palcoscenico più difficile con uno spettacolo orfano di due protagonisti e ridisegnato nelle ultime ore.
Prova superata, brividi sulla pelle, lacrime sul viso.
Brava Simona!