Cambiamento ed evoluzione delle competenze nel futuro del lavoro: come diventare riflessivi
Skill, competenze, tratti della persona… su questo tema si è sempre fatto un gran parlare e gli scenari che stiamo vivendo in questo periodo, dominati da incertezza e complessità, rendono la riflessione sui temi in oggetto ancora più impellente.
Qual è la situazione attuale delle competenze nel mondo del lavoro?
Con EY, in una recente ricerca svolta proprio sul futuro delle competenze, abbiamo avuto modo di analizzare la situazione attuale delle skill nel mercato mondiale e italiano e le difficoltà che i sistemi organizzativi stanno avendo nell’orientare le sfide attorno a questo tema.
Le maggiori difficoltà si orientano attorno a tre aspetti fondamentali:
- Complessità: poiché per rispondere agli scenari del mondo del lavoro di oggi – e del futuro – servono competenze ibride e articolate, che spesso sono una combinazione di diverse modalità di approccio ai problemi.
- Mismatch: che arriva fino al 50% e che con il Covid-19 è aumentato. Un disallineamento completo tra quello che le aziende richiedono, o di cui avrebbero bisogno, e quello che le persone sono in grado di offrire (e viceversa).
- Obsolescenza: poiché, molto più che in passato le competenze e le skill – specie se tecniche e verticali – tendono a invecchiare molto più velocemente (anche del 35-40% rispetto a quanto avveniva solo 3 anni fa.
In uno scenario di questo tipo è quindi richiesto un ripensamento delle nostre modalità di gestione delle persone.
Quali sono le competenze che caratterizzeranno il futuro del lavoro?
Il discorso è complesso, ma possiamo sottolineare come oltre alle competenze tecniche sia bene ragionare su come sviluppare alcune caratteristiche specifiche come l’agenticità (per dirla alla Bandura) intesa come la capacità dell’individuo di far leva e valorizzare le proprie risorse e competenze individuali, siano esse fisiche o psichiche per poter risolvere un problema o completare un compito all’interno di uno specifico contesto. Serve poi la riflessività che Donald Schön definisce la meta-competenza chiave all’interno di contesti complessi come quelli moderni. La riflessività di cui parla Schön è, infatti, una epistemologia della pratica che consenta la riflessione nel corso dell’azione, che arricchisca e superi il dualismo teoria-pratica. Per dirla alla Albert Camus: “Un impiegatuccio in un ufficio postale è pari a un conquistatore se la consapevolezza è comune a entrambi”. È poi necessario sviluppare intenzionalità, poiché nessun atto si compie senza intenzione e senza una precisa direzione di senso. Per farlo serve coraggio e capacità di anticipazione.
Costruire il capitale psicologico positivo
Tutto questo ci permette di creare un vero e proprio capitale. La capacità di migliorare attraverso l’esperienza, proiettarsi positivamente nel futuro, mettere in atto strategie alternative, di regolare le proprie emozioni ed essere resilienti in una modalità che favorisca l’apprendimento, qui risiederà il paradigma futuro che oltre a un reskilling dinamico delle competenze verticali.
Un vero e proprio capitale psicologico positivo per dirla alla Luthans, qualcosa, cioè, che si somma al capitale economico (quello che l’azienda possiede); al capitale umano (quello che persone sanno e sanno fare); al capitale sociale (chi si conosce, le relazioni che si hanno).
Quale futuro per le persone?
Esiste un altro elemento che è importante ed è quello che riguarda la capacità di mettere a sistema competenze anche molto diverse tra loro e di far coesistere diversità e culture. È un aspetto fondamentale perché consente all’organizzazione di trarre il massimo del beneficio da un coinvolgimento esteso della popolazione aziendale e di mettere veramente a fattor comune ciò che l’organizzazione sa. Che sia forse la ricetta alla famosa frase del CEO di HP: “If HP knew what HP knows, we’d be three times more productive”?
È possibile.