Galileo, Asimov e i Big Data. Cosa ci insegnano le elezioni americane?
Della vittoria di Donald Trump hanno già scritto in tanti, forse in troppi, quindi non insisteremo oltre nel cercare di capire se Trump, oggi, rappresenti più della Clinton gli Stati Uniti d’America. Qui parleremo di altro. Dal punto di vista di un accanito e radicale sostenitore di un’illuminismo scientifico, vi sono temi più interessanti e urgenti da discutere nell’immediato post-elezioni americane. Di questo scriverò e ragionerò in questo articolo.
Nelle ore dopo il voto, leggendo le reazioni e gli editoriali di molte testate italiane e straniere quello che più mi ha colpito è stato l’attacco convinto che alcuni osservatori e giornalisti hanno riservato ai più moderni sistemi per ottenere previsioni e proiezioni sulle elezioni. La posizione più chiara in questo senso l’ha espressa il giornalista Alessandro Gilioli per l’Espresso.
“Gli algoritmi hanno perso. I Big Data hanno perso. I Data Scientist hanno perso. La tecnologia ha perso. La tecnocrazia ha perso. E ha perso, alle elezioni, il razionalismo congenito a tutto questo: ingegneristico, scientifico, positivista. Tutto questo stanotte ha perso – e malamente.” Ora, non si può non ammettere con Gilioli che in questo caso i Big Data Analist abbiano fallito, anche malamente, ma non si può crocifiggere una intera categoria di disciplinari e metter in discussione una disciplina intera perché si è dimostrata immatura e fallace. Gli errori fanno parte della prassi scientifica e, alla lunga, questi sistemi, ne sono certo, prenderanno piede e diventeranno gli unici in grado di farci fare previsioni anche su processi complessi e contraddittori come le elezioni di un Paese.
Quello che sta accadendo alla scienza dei Big Data, infatti, è già accaduto nel passato. Anche la famigerata teoria gravitazionale di Galileo Galilei e di Isaac Newton all’inizio della loro “carriera” ha sbagliato qualche previsione. In generale, la mancanza di dati, le campagne di misura incomplete, gli strumenti imprecisi hanno portato a fare previsioni sbagliate in ogni campo della scienza. Ma quello che si osserva è che man mano che una disciplina scientifica diventa matura, raffinando gli strumenti e la raccolta dei dati, purificandoli dal rumore di fondo, le previsioni sui fenomeni divengono sempre più precise. Provate a paragonare la meteorologia di oggi, che arriva a dirci l’ora, se non addirittura il minuto in cui inizierà a piovere, rispetto a quella di qualche decennio fa. Oggi satelliti, anemometri, termometri e barometri, sparsi per tutto il mondo, lavorano a servizio di modelli matematici e informatici complicatissimi che sanno restituirci previsioni pressoché infallibili.
La stessa fiducia possiamo, anzi dobbiamo riporla per questa nuova scienza, quella dell’analisi di grandi mole di dati raccolti dai nostri comportamenti online, la big data science applicata ai fenomeni sociali, scienza ancora giovane e incapace di filtrare il rumore di fondo e tarare i suoi strumenti, ma che nel futuro saprà trarre sempre maggiori informazioni sulla nostra società attraverso l’analisi di ogni nostro singolo comportamento, spostamento, mail, tweet, tag, post, foto.
Il percorso sarà lungo e tortuoso, come è tortuoso (non lineare) ogni fenomeno e processo che riguarda le società umane (le recenti elezioni ce lo ricordano e ce lo ricorderanno), ma nessuno può mettere in dubbio la potenza di questo nuovo strumento e, anche se forse non arriveremo mai a quella che Isaac Asimov chiamava nei suoi romanzi la “psicostoriografia” ovvero “la scienza del comportamento umano ridotto ad equazioni matematiche”, sempre di più i big data, la tecnologia, la matematica, la società e la politica saranno legati indissolubilmente.