Le aziende alla sfida dell’Employee Experience
All’inizio del 2020 il mondo ha iniziato quello che è senza dubbio il più grande esperimento di lavoro da remoto della storia. Ora, mentre assistiamo all’avvio del processo di vaccinazione con il permanere della grave minaccia del Covid, le organizzazioni si stanno interrogando per capire se e come far tornare i dipendenti nei loro uffici. L’emergenza sanitaria ha obbligato molti lavoratori allo smart working. Anche in Italia, dove il lavoro agile veniva vissuto con un atteggiamento di diffidenza. Nel giro di poche settimane siamo passati dai 570 mila smart worker, censiti a ottobre 2019 dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, a 8 milioni di home worker. A livello globale il mondo del lavoro dopo il Covid-19 potrebbe dunque non essere più lo stesso.
Con difficoltà diverse abbiamo assistito ad un cambiamento che ha interessato tanto i professionisti del settore privato quanto quelli della Pubblica Amministrazione, in entrambi i casi si è dimostrato che il lavoro può essere svolto nella propria abitazione senza grandi problemi. Se l’innovazione tecnologica sta semplificando la vita degli smart worker, il tema della fiducia rappresenta ancora una sfida da vincere per molte aziende e per la Pubblica Amministrazione. Presupposto di questo nuovo approccio è convincere i manager a fidarsi dei propri collaboratori senza vederli direttamente al lavoro e, su questo aspetto, la digitalizzazione sta sicuramente fornendo nuovi strumenti di monitoraggio. Tutto ciò porta verso nuovi parametri di valutazione dell’operato dei lavoratori, non solo e non tanto basati sulle ore di lavoro effettivamente trascorse a lavorare, quanto piuttosto sui risultati conseguiti indipendentemente dal luogo di lavoro e dalle ore impiegate. Lo speciale rapporto che si sta affermando tra datore di lavoro e dipendente deve essere corroborato da un quadro di reciproca fiducia, che sfocia in quello che viene definito “commitment” (coinvolgimento). Se l’azienda esige professionalità da parte del lavoratore nello svolgere le proprie mansioni da remoto, quest’ultimo – perché risulti davvero coinvolto e motivato in un contesto ambientale d’isolamento – deve identificare nell’impresa una serie di valori (aziendali e non) che condivide e appoggia. Frederick Evan Crane, un importante giurista americano attivo nel secolo scorso, sosteneva che per rendere un uomo felice occorresse riempire le sue mani di lavoro, il suo cuore di affetto, la sua mente con uno scopo, la sua memoria con conoscenze utili, il suo futuro di speranza, e il suo stomaco di cibo. Si tratta di una spiegazione pratica di quella che è chiamata più scientificamente “piramide di Maslow”, psicologo che ebbe il merito di stilare una gerarchia di bisogni, dove quelli primari e fisici devono essere comunque integrati e coronati da altri di ordine superiore, di tipo più intimo e relazionale. Le esigenze di un lavoratore non sono solo monetizzabili o legate alla sopravvivenza materiale, ma necessitano anche di supporti che ne favoriscano anche la crescita personale e sociale, da un punto di vista dell’autorealizzazione, della motivazione, del sentirsi utili e integrati con obiettivi condivisi.
Questo, nell’epoca dello smart working, diventa ancora più importante. Ed è qui che entra in gioco quella che viene definita la Employee Experience.
Nell’incerto contesto che stiamo vivendo, le aziende si trovano di fronte a un bivio. Occorre mettere in discussione il tradizionale modo di rapportarsi con le risorse umane e ripensare l’esperienza lavorativa, mettendo il lavoratore al centro di questo modello. Le nuove abitudini e le innovazioni tecnologiche che si vanno generando nello smart working hanno abituato le persone a vivere esperienze personalizzate, on-demand e self-service e a fruirne in modo semplice e veloce. Uno stile di vita che è stato assimilato dagli individui nella veste di consumatori. L’obiettivo delle aziende che praticano lo smart working sarà sempre più quello di creare una Employee Experience personalizzata, distintiva e coinvolgente, offrendo ai lavoratori un’esperienza studiata ad hoc, come se si trattasse di consumatori finali: un approccio che vede il lavoratore comparabile ad un cliente.
«Dopo un lungo periodo in cui analisti e operatori hanno giustamente esaltato l’importanza dell’esperienza dei clienti, ora è giunto il tempo della rivincita dei dipendenti ed è diventato chiaro che le organizzazioni non possono soddisfare le aspettative dei loro interlocutori esterni se non sono capaci di gestire al meglio la loro risorsa più preziosa: le persone che le costituiscono», osserva Rosario Sica, fisico cibernetico di formazione e specializzato nei processi di trasformazione digitale, nel suo recente libro “Employee Experience. Il lato umano delle organizzazioni nella quarta rivoluzione industriale” (Franco Angeli editore). Un nuovo approccio che si spalma su tutti i campi d’azione aziendale e in particolar modo coinvolge i responsabili HR e i loro team, spronandoli ad acquisire nuove competenze per supportare le loro aziende nelle nuove sfide che il presente ci ha riservato.
L’esperienza del Covid ha portato la maggioranza dei lavoratori a dover gestire una complessità di ruoli e dinamiche lavorative mai vista prima, a tutti i livelli aziendali. Può questa nuova realtà diventare un motore positivo di engagement delle persone verso l’azienda? Sì, dicono gli esperti, e non solo perché durante le transizioni le persone sono particolarmente sensibili a ciò che ricevono dal loro contesto lavorativo, e quindi ogni azione di vicinanza ha un effetto molto maggiore in termini di motivazione e identificazione, anche a lungo termine. Ma anche perché il modo in cui l’azienda sa far vivere queste circostanze alle sue persone può avere un impatto considerevole su quella quantità di risorse che è il loro engagement: energia, attenzione, apertura, focus possono aumentare a dismisura.
Mentre le aziende sono andate oltre la fase iniziale di organizzazione del lavoro a distanza a causa del Covid-19, adesso si trovano nel momento di prendere decisioni importanti, come rispondere ad alcune domande indifferibili: per quanto tempo i dipendenti lavoreranno ancora da casa? Un ambiente di lavoro “ibrido” o a rotazione è efficace? L’organizzazione degli spazi lavorativi aziendali (ormai in gran parte vuoti) corrispondono ancora alle attuali esigenze? Queste decisioni sono sicuramente di natura finanziaria, ma coinvolgono profondamente anche aspetti personali e, negli anni a venire, influenzeranno il modo in cui le persone lavoreranno insieme e definiranno la propria identità professionale.