Perché imparare a fare da sé è (ormai) questione di sopravvivenza
Con la sua lirica, perentoria potenza, Friedrich Nietzsche li definiva “i legislatori di se stessi”. Chi per vocazione preferisce scegliere da sé piuttosto che seguire modelli, discipline, regole esterne. Chi si costruisce i propri paradigmi, le proprie unità di misura. Chi alla fine potrebbe come Frank Sinatra cantare “I Did it My Way”. Tutte queste cose – e tante altre di cui andremo fra poco a parlare – è meglio farle senza essere autoreferenziali, è meglio farle senza arroccarsi nell’individualismo, è meglio farle senza mettere distanza fra sé e gli altri: più ci si sente una eccezione, più si deve considerare anche gli altri come possibili eccezioni. Ma queste cose sono comunque assolutamente decisive perché segnano la profonda differenza fra chi tenta di prendersi la piena responsabilità della propria esistenza e chi invece no.
No, non è facile, e non è sempre possibile farlo neanche per chi ci è portato: ma è fondamentale coltivare sempre e comunque l’attitudine all’autodeterminazione non soltanto perché vada come vada ci si sentirà comunque molto meglio, ma perché è ormai anche molto più vantaggioso. Perché se un tempo a non cantare nel coro erano soltanto le più originali voci soliste, gli “one of his/her own” più forti e intrattabili, oggi che le grandi scuole, fedi, ideologie sono evidentemente incapaci di abbracciare la natura mutevolmente molteplice del nuovo mondo globale, oggi che il lavoro stesso difficilmente sarà quello fisso e stabile di una volta, imparare a fare da sé è questione di sopravvivenza stessa oltre che di personale valorizzazione. Saper scegliere in un mondo che ha moltiplicato come mai prima le nostre possibilità di scelta è un criterio di eccellenza sempre più essenziale se non ci si vuole ritrovare a essere intercambiabili e sostituibili in qualunque momento.
Oggi adattarsi a un sistema esterno è una disfunzione non perché si debba coltivare la beata scemenza dell’antisistema, ma perché in un mondo dove abbiamo a disposizione in diretta miriadi di informazioni, materiali, conoscenze, in questo mondo i sistemi tradizionali sono come scarpe strette con i buchi dentro e ciascuno di noi ha la possibilità se non il dovere di essere il suo proprio sistema. Mai come ora si rivela profetica l’intuizione di Bruce Lee quando affermava che nessuna scuola e nessuno stile può essere superiore a un essere umano. Gli effetti collaterali li conosco tutti, essendone stato da sempre affetto: rapporti non idilliaci con ogni autorità, sostanziosa cocciutaggine, fatica a star dentro a qualunque gruppo. Ma se è vero che bisogna stare attenti a non cadere nell’errore opposto, è ancora più vero che nella storia umana i danni peggiori sono nati dall’aver sacrificato la personalità e la personale possibilità di scelta sull’altare dell’obbedienza ai dogmi e alle formule esterne.
In questo senso nessuna sostanza è più preziosa del senso di responsabilità personale: non possiamo pretendere diritti –per quanto sacrosanti – e non possiamo chiedere supporto agli altri se noi per primi non mettiamo in campo le nostre migliori energie, lavoro duro, volontà di costruire qualcosa da noi. Se c’è oggi in circolazione una tendenza pericolosa, poco dignitosa e anche vile è proprio quella a considerarsi vittime e ad autoassolversi sempre e comunque. Fa male, tanto, a sé, a chi ci sta intorno, all’intera condizione psicologica umana. Valorizzare il senso di autodeterminazione, la responsabilità personale, la possibilità di scelta, è davvero uno dei più essenziali compiti per l’evoluzione globale e per le infinite evoluzioni di ognuno di noi.