Accrescere la nostra consapevolezza per evitare bias sul lavoro e nella vita: come fare?
Come esseri umani, nella vita di tutti i giorni, e come professionisti, siamo dell’idea che la nostra presa di decisione rappresenti un sistema che funziona in modo più o meno corretto.
La realtà dei fatti, come spesso accade, è un po’ più complessa di come sembra.
Per citare un esempio, Kahneman e Tversky hanno condotto qualche anno fa un famosissimo esperimento che spiega molto bene il fenomeno del framing: quel processo tale per cui, il semplice modo attraverso il quale viene presentato un problema, influenza la nostra presa di decisione e il nostro modo di leggere il contesto. Gli stessi dati, presentati con una semplice formulazione differente, infatti, possono portarci in direzioni completamente opposte.
Buster Benson ha fatto un ottimo lavoro, qualche anno fa, nel raccogliere i principali bias cognitivi che affliggono l’essere umano.
Le nostre sfide principali, secondo il suo lavoro, ruotano attorno a quattro pilastri:
- Sono presenti troppe informazioni: il nostro cervello deve fare una selezione per poter processare un numero corretto di dati, all’interno del processo – inevitabilmente – qualcosa si perde.
- Non c’è abbastanza senso. Troppe cose sono soggette a fenomeni di interpretazione e a meccanismi simbolici che rendono la nostra comprensione complessa.
- Non abbiamo abbastanza risorse o tempo. La presa di decisione non sempre può essere fatta in condizioni ottimali e con tutte le informazioni necessarie. Le scelte sono spesso compiute all’interno di orizzonti di scarsità di tempo, informazioni e risorse.
- Non abbiamo abbastanza memoria. Per quanto assurdo possa sembrare, il nostro cervello crea efficienza, elimina schemi e pattern e agisce secondo schemi che semplificano il consumo di risorse.
È noto, in questo senso, il ruolo delle euristiche, delle vere e proprie scorciatoie che il nostro cervello utilizza. È un meccanismo che ci riguarda tutti e che coinvolge organizzazioni, professionisti e vita personale. Nessuna decisione è esclusa da questo fenomeno e nessuna presa di posizione è immune dai bias.
Come possiamo fare, dunque? Esistono strategie cognitive che ci permettano di limitarne l’impatto o di garantire che il nostro giudizio non cada troppo vittima di meccanismi automatici di pensiero?
Intendiamoci: quanto stiamo descrivendo non è sempre negativo, le euristiche – e spesso anche i bias – hanno la capacità di semplificarci enormemente la vita nelle scelte semplici che compiamo ogni giorno e attivando degli script (dei copioni) che ci consentono di comportarci in modo consono all’interno di specifici contesti sociali.
È però opportuno comprendere in che modo possiamo liberarci dall’automatismo nel momento in cui ne abbiamo necessità.
Come sottolineano molto bene Watzlawick, Weakland e Fisch, della scuola di Palo Alto, nel loro volume Change: sulla formazione e la soluzione dei problemi (1974): il cambiamento è ristrutturazione logica di un problema ad un livello riflessivo superiore. Il problema dialettico, come i bias, non può essere risolto eliminando semplicemente uno solo dei fattori in gioco, uno dei due poli, ma richiede un approccio radicalmente differente. Nella presa di decisione il processo è il medesimo.
Lo spiegano molto bene usando l’esempio del racconto di Chaucer Tale of the Wife of Bath, nel quale un giovane cavaliere si trova in una situazione sempre più complessa poiché forzato a scegliere all’infinito tra due opzioni inaccettabili. Il cavaliere trova dunque una via di uscita dalla trappola e compie un cambiamento, spostandosi al livello superiore: mette in discussione l’idea stessa di dover scegliere.
Come?
Attraverso una presa di coscienza, attraverso un’azione riflessiva: lo sviluppo di un meta-cognizione che consente di prendere atto ed essere consapevoli di tutti i meccanismi che attiviamo nel momento in cui prendiamo una decisione o agiamo un comportamento.