Abbatti i pensieri negativi, ascoltati e parla con te stesso
Ammettiamolo: i pensieri negativi non sono mai stati così tanti come nel 2020.
Non è tragicamente solo un modo di dire, ma una constatazione. I dati provengono da differenti studi mondiali, che evidenziano come l’incombere di questa pandemia abbia potato non solo gli effetti nefasti che conosciamo dai notiziari; ma anche conseguenze più intime che difficilmente vengono a galla che possono essere controllate – e poi, sempre esposte ad uno specialista.
Già nel febbraio scorso, nel pieno degli sconvolgimenti mondiali, veniva pubblicato su Lancet Psychiatry lo studio “Mental health service for older adults in China during the covid-19 outbreak” in cui si denunciavano i primi effetti nefasti sulla psiche delle popolazioni che avevano subìto le restrizioni necessarie a fermare il veicolare del virus.
Nondimeno, a marzo scorso, mentre l’Italia era alle prese con gli inizi della sua personale battaglia contro il Covid-19, è stato attivato un numero verde per l’ausilio psicologico. L’iniziativa di Fondazione Soleterre, nell’ambito del progetto Fondo Nazionale per il Supporto Psicologico, è tutt’ora attiva (335 77 11 805) ed è la conferma di come il “pensiero negativo” sia invalidante quanto il virus, in un momento storico particolarmente delicato come questo. Sono già 728 i colloqui effettuati per i 91 casi presi in carico da giugno 2020 a oggi.
Proprio il presidente della fondazione, Damiano Rizzi, spiegava al Corriere della Sera, lo scorso sei novembre, che la letteratura scientifica comincia a definire questi sintomi come Sindrome da stress Covid-19. Le caratteristiche, spiega ancora il medico, «sono quelle di effetti duraturi del trauma relazionale che si riattiva a ogni ondata in cui il virus riprende forza e trasforma radicalmente il mondo in cui tutti noi viviamo».
La sindrome da stress post-traumatico è stato studiata a lungo in letteratura scientifica, anche come conseguenza di un trauma di massa, ad esempio analizzando le reazioni dei sopravvissuti agli attacchi terroristici dell’11 settembre a NY o a Parigi nel 2015 (nello studio “Mental health in emergency response: lesson from Ebola”, condotto da Abdulaziz Mohammed e pubblicato su Lancet Psychiatry nel novembre del 2015).
Questi i sintomi trasversali più comuni: depressione (il 23% in misura moderata e il 40% in misura grave); ansia (il 37% in misura moderata e il 32% in misura grave); rabbia (il 25% in misura moderata e il 23% in misura grave); alterazioni del sonno (il 17% in misura moderata e il 22% in misura grave) e uso di sostanze (37% in misura grave).
All’incertezza individuale, si aggiunge anche un altro problema. Come segnalato dall’OMS (già in anni passati, quando l’organizzazione dava delle linee guida nella gestione dello stress con il documento WHO Guidelines for the Management of Conditions Specifically Related to Stress) e dal Ministero della Salute, è plausibile, ma non auspicabile, che in futuro si possa sommare anche un problema di stigma sociale; che si può tuttavia prevenire con un attento intervento dello Stato, affidandosi all’assistenza di un professionista e, più intimamente, imparando a parlare con sé stessi.
L’importanza del self speech
La riflessione parte da una domanda: cos’è un pensiero negativo?
Tralasciando anni di filosofia sulla sostanza del pensiero, psicologicamente e tecnicamente il pensiero è lo strumento con cui l’individuo interpreta il mondo esterno. Per il Sabatini-Coletti è la capacità di pensare, l’attività psichica e intellettuale attraverso cui l’uomo elabora concetti, formula ipotesi. Infine, è anche la modalità con cui il soggetto dialoga con se stesso.
Ci sono ovviamente due tipologie di pensiero: razionale e irrazionale.
Alla prima categoria appartengono i pensieri basati sulla logica, che hanno una rappresentazione nella realtà e che ci consentono di verificare la loro veridicità attraverso prove oggettive. In altre parole, dal punto di vista dell’adattamento, ci consentono di valutare e agire in modo funzionale e adattivo all’ambiente.
La seconda categoria invece è una massa di materiale intellettivo non aderente alla realtà, che spesso porta con sé un carico emotivo negativo. Quest’ultimi, per semplificare, potremmo definirli come il veicolo con cui gli eventi traumatici si installano nella psiche. Sono, inoltre, involontari: il che rende più difficile la loro organizzazione.
Il dottor Antonio Guerrero, sul portale MundosPsicologos, racchiude la gestione di questi “ruscelli neri” in quattro semplici tips: comprendere come ci si sente; intercettare la causa di quell’emozione e di quel pensiero; isolare le evidenze reali dalle opinioni o dalle valutazioni personali; se non si hanno “prove” a favore di quel pensiero, allora si può essere certi che si tratti di un pensiero automatico negativo.
Imparare prima di tutto a gestire il modo con cui si parla a sé stessi è già un passo avanti nella gestione dello stress causato da un contesto storico catastrofico.
Al 19 ottobre 2020 il Centro Studi CNOP, infatti, ha rilevato che il 51% della popolazione ha un livello di stress psicologico tra 70 e 100 su 100. Un livello analogo a quello del primo lockdown ma con caratteristiche molto peggiori. In primavera dominava la componente ansiosa, sorretta da una prospettiva; oggi rabbia, depressione e forte disorientamento.
E non è un caso che lo scorso sei novembre il sottosegretario Zampa, ai microfoni di “Oggi è un altro giorno” di Rai Uno, abbia confermato come nel dialogo parlamentare si stia riflettendo sulla necessità di misure ancor più mirate a sostegno delle fragilità psicologiche. Sottolineando il netto aumento del consumo degli psicofarmaci.
Parlare meglio a sé stessi, cercando di circumnavigare i pensieri negativi automatici, è un valido primo passo – che ovviamente non sostituisce in nessun modo l’apporto che può dare una terapia con un professionista – per affrontare le onde che sembrano in arrivo e approdare, certamente stanchi, ma in un porto sicuro.