«Mettiamo i like su Facebook e non abbiamo il coraggio di dire che ci piace dal vivo». Paolo Ruffini
È un Paolo Ruffini in versione inattesa per i più quello visto a Pontremoli in occasione dell’evento Centodieci è ispirazione.
Il Teatro della Rosa si presenta gremito in ogni ordine si posto per uno spettacolo che ha divertito, ma anche fatto riflettere.
Tema incentrato sull’innovazione e sui social, contrapposti al sociale. Paolo ripercorre la sua storia di ragazzo livornese: «Quando ero giovane c’erano le tavolate sociali, si stava insieme. Oggi ci sono le tavolate social, si sta al telefono» e il suo rapporto con la scuola: «Da bambino amavo andare a scuola, mi ero imposto di divertirmi e sono stati gli anni più belli della mia vita. Peccato che i professori non siano riusciti a trasmettermi l’amore per lo studio, forse era colpa mia, forse non erano in grado di comunicare. Oggi fanno mille controlli dell’ASL per verificare che le cucine dei ristoranti siano in regola, nessun controllo su chi dovrebbe istruire le nuove generazioni. Per me è paradossale».
Gli spunti comici sono diversi, l’interazione col pubblico continua, anche le risate offrono sempre uno spunto di riflessione: “Da bambino mamma era fissata con le fotografie, la cosa bizzarra era che una foto non bastava, mai! Dovevamo fare sempre le foto di sicurezza! Io lì, fermo, dovevo aspettare sempre questa benedetta foto di sicurezza che spesso richiedeva più tempo della foto principale! Un rullino da 36 era in realtà un rullino da 18, avevamo sempre foto doppie perché sai, la prima potrebbe non essere venuta bene. Oggi ho 3000 foto salvate sul mio hard disk da 1Tb, ne scatto in continuazione e non le riguardo mai, ma proprio mai. Le uniche foto che vedo ogni giorno, sul comodino di casa, sono le foto di sicurezza che mi faceva mamma”.
Risate a spron battuto quando si analizzano gli errori grammaticali dei post su Facebook o delle scritte sui muri delle generazioni precedenti (il murales con scritto “Ge tem” merita un applauso a parte) in un continuo rimbalzo tra passato, presente e futuro. Oltre due ore di spettacolo che scivolano via piacevolmente e che contrappongono la “cattiveria” dei social alle “cose belle” che il mondo offre: «Quando hai 6 anni ti fanno disegnare e non capisci perché. Fiori, case, famiglia, farfalle, non fai altro che disegnare. Quando sei adulto però lo puoi comprendere, è tutto maledettamente chiaro, quando sei bambino ti insegnano #solocosebelle». Solo cose belle sono quelle che Paolo, oggi, si ripropone di postare sui social network: «Non ho la cultura per poter dire una verità, ma una cassa di risonanza per insinuare un dubbio» e a chi, in sede di dibattito finale, gli chiede se talvolta non sia un po’ troppo volgare Ruffini risponde con un’altra frase a effetto: «L’alto e il basso si confondono in una misura in cui si crea aggregazione. Quella aggregazione è già cultura. Mettiamo i like su Facebook e non abbiamo il coraggio di dire che ci piace quel che stiamo vivendo».
Risate, continue, diverse dal solito. Ogni battuta portata in scena da Ruffini, che spesso ha improvvisato interagendo col pubblico per tenere alta l’attenzione della platea, ha sempre un risvolto su cui riflettere perché se è vero che «Il cellulare è diventato la scatola nera della nostra vita» è altrettanto vero che «la realtà dei social la facciamo noi, non siamo più abituati alla felicità. Forse vivendo meno i social vivremmo meglio la realtà quotidiana».
Con oltre 2,2mln di fan su Facebook Paolo Ruffini si concede al pubblico Centodieci di Pontremoli in una versione inedita: risate, divertimento, riflessione e ispirazione. Gli applausi che scrosciano a fine spettacolo a margine di un monologo sul cinema costruito sui titoli dei film, tanti, nominati in sala, sono il giusto tributo a due ore che rimarranno indelebili nella mente degli oltre 400 presenti.