Social Enterprise. Solo ponendosi come individui si possono raggiungere obiettivi comuni
Nel libro di De Toni e Comello “Prede o ragni? Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità”, viene posta al centro della visione sistemica unificata della vita l’organizzazione reticolare: a tutti i livelli in cui la vita si esprime, i componenti di questi sistemi sono collegati tra loro secondo uno schema reticolare.
Nella nostra era dell’informatica anche i processi sociali e le funzioni si vanno sempre più organizzando attorno a delle reti e l’organizzazione reticolare è diventata sempre di più un importante fenomeno sociale e una fondamentale fonte di potere.
Per l’individuo risulta necessario ridefinire la propria storia e la propria identità per trovare una forma nella quale riconoscersi rispetto alle forme dell’identità che la globalizzazione sta ridisegnando. Come si può leggere in I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione di U. Beck, l’epoca globale proietta l’individuo in una dimensione multipla in cui è presente la pluridentità del soggetto, che non deve essere associata però ad una perdita di sapere o di unità soggettiva.
Con la globalizzazione non siamo in presenza della crisi dell’identità, bensì siamo chiamati a rispondere alle identità in linea con la “ristrutturazione dell’esperienza soggettiva”, che ragiona in termini di “spazialità della nostra vita sociale”. Quello che sta accadendo con la globalizzazione è il configurarsi di una nuova logica dell’individuo e dei saperi che lo descrivono. Globale è quell’io capace di attraversare i processi in corso, trovando per ognuno di essi la giusta chiave d’accesso. Con la globalizzazione siamo in presenza di “un salto di qualità nel processo di individualizzazione”, che ha il suo perno nella ristrutturazione degli spazi delle forme di vita.
L’io globale è, nella migliore delle metafore, il nuovo viaggiatore: “nuovo” perché si muove in un diverso paradigma spazio-temporale, quello nato con la globalizzazione. L’io tradizionale vede mutare i presupposti e i supporti che lo avevano strutturato, dalla sovranità al diritto, dalla politica al piacere. I mutamenti in corso, nei quali è implicato l’io stesso, sono un sapiente gioco che oscilla tra dinamiche opposte. Da quando il mondo è diventato accessibile nella sua interezza, l’individuo ha cercato di creare nuovi spazi, di reinventarsi. La globalizzazione è riuscita a scuotere profondamente abitudini, contesti politici e culturali, generando una crisi d’identità, che l’uomo cerca di colmare attraverso la ristrutturazione e la valorizzazione delle proprie capacità e dei propri atteggiamenti. Di fronte a questo nuovo scenario l’integrazione fra i popoli dovrebbe diventare fondamentale per garantire l’uguaglianza, il rispetto reciproco e l’armonia fra tutti gli esseri umani.
Emma Seppala, Associate Director Stanford University’s Center for Compassion and Altruism Research & Education, nel suo articolo Connectedness & Health: The Science of Social Connection, riporta come la mancanza di connessione sociale genera danni per la salute, quali obesità, fumo e ipertensione, mentre una forte connessione sociale porta ad un aumento del 50% di probabilità di longevità, rafforza il sistema immunitario e aiuta a recuperare dalle malattie più velocemente. Le persone che sono connesse hanno più bassi livelli di ansia e di depressione, hanno una maggiore autostima, maggiore empatia verso gli altri, sono più fiduciosi e collaborativi e, di conseguenza, vivono rapporti più aperti alla cooperazione. In altre parole, le relazioni sociali generano un ciclo di feedback positivi nella dimensione sociale, emotiva e nel benessere fisico.
Sempre nell’articolo si legge che, al contrario, coloro che non hanno relazioni sociali, o bassi livelli di connessione sociale sono soggetti a cali salute fisica e psicologica, nonché ad una maggiore probabilità di comportamenti antisociali che porta ad un ulteriore isolamento.
Per usare il termine di Ulrick Beck, nell’era dello sguardo cosmopolita, dunque, dal momento che tutti gli uomini pensano e sentono più o meno nello stesso modo, ogni essere umano può accedere alle sensazioni di tutti gli altri: gli basterà gettare uno sguardo rapido su se stesso.
Perciò non vi sarà nessuna miseria che egli non possa comprendere senza fatica e le cui proporzioni non suscitino in lui l’istinto della solidarietà, si tratti di amici o di nemici: la sua forza immaginativa fa si che egli possa mettersi immediatamente nei panni altrui.
Il mondo dello sguardo cosmopolita è in un certo senso un mondo di vetro. Le differenze, i contrasti, i confini devono essere definiti a partire dal presupposto che gli altri sono per principio uguali. I confini rispetto all’altro non sono più bloccati e oscurati, ma diventano trasparenti.
Entrambi, l’empatia e l’odio, il senso della mancanza dei confini e la nostalgia per i vecchi-nuovi confini, mettono in luce che lo sguardo cosmopolita è uno sguardo politicamente ambivalente, riflessivo. Dove le distinzioni e le dicotomie apparentemente eterne diventano sterili, si arrestano, si dissolvono e si mescolano.
Penso sia dunque importante in questa era di interconnessione tecnologica un’“educazione alla socialità” che parta dai più giovani in su e che faccia si che la meravigliosa tecnologia che abbiamo a disposizione sia uno strumento importante anzitutto per connetterci come essere umani, come si diceva una volta “da persona a persona.”