Decluttering. Togliere l’inutile per rifocalizzarsi sull’essenziale
Scrivendo “decluttering” su Google si trovano poco meno di due milioni di risultati. Le ricerche del termine, secondo Google Trend, sono triplicate negli ultimi 10 anni. Insomma, parliamo di una delle parole chiave di questo secolo, così veloce e convulso.
Decluttering, letteralmente, significa “mettere in ordine”, ma è l’espressione di una vera e propria filosofia che ha importanti ripercussioni in tutti gli ambiti, sia personali sia professionali.
L’obiettivo di base è vivere e lavorare in ecosistemi (fisici ed organizzativi) semplici e ordinati, per riprendere il controllo su attività e cose, evitando che queste controllino noi. “Facendo decluttering e togliendo oggetti inutili non ho solo liberato spazio fisico, ma ne ho anche creato di nuovo, sia fisico che mentale, rendendolo disponibile per nuovi progetti e idee”, commenta l’interior designer Francesco Catalano.
Una disciplina liberatoria, quindi, che sta progressivamente contaminando il mondo del business. Il movimento “The Lean Startup”, ad esempio, propone una metodologia di lancio di nuovi prodotti e aziende leggera, semplice e, quindi, veloce. “Lean Startup non c’entra con l’orientamento al risparmio – sostiene il fondatore Eric Ries – ma significa sprecare meno, pur facendo cose grandi”. Dropbox è un esempio tipico di startup “leggera”.
Un interessante articolo dell’Economist elenca le 3 principali fonti di “clutter” nel mondo del business, a cui mi sento di aggiungere qualche indicazione di miglioramento.
- Alcune aziende paiono essersi perse nei contorcimenti di livelli e gerarchie tanto da dover ricorrere a ulteriori figure professionali (spesso “scrum” o “velocity” manager) per cercare di fluidificare processi ingolfati. Insomma, nuova complessità per far funzionare quella attuale. Un paradosso! Come venirne fuori? Avendo in azienda una responsabilità manageriale, si possono, ad esempio, seguire i consigli di McKinsey per eliminare le difficoltà di struttura. Altrimenti, l’unica strada è incoraggiare la formazione autonoma di team trasversali, che cooperino su attività specifiche, indipendentemente dai ruoli. Ricorrere al buon senso, insomma, mostrando proattivamente ai “piani alti” i workaround necessari per semplificare e alleggerire il disagio organizzativo.
- Secondo The Muse impieghiamo tra il 35 e il 50% del nostro tempo in meeting. Spendiamo oltre 4 ore la settimana per prepararci (presentazioni, minute, inviti). Il 92% di noi, durante le riunioni, fa anche altro (mail, messaggi, persino telefonate). In pratica, un disastro. Come fare?
- Innanzitutto pianificare solo le riunioni realmente necessarie e non superare i 30 minuti. Un tempo ragionevole, nel quale si può chiedere ai (pochi) partecipanti di restare concentrati, senza alcun device in mano.
- “No agenda, no attenda”, come recita il motto di Ryan Holmes, fondatore di Hootsuite. Quindi specificare di cosa si parla e quali sono gli obiettivi dell’incontro.
- Uscire con una idea precisa del prossimo passo da fare. Il che significa conoscere bene anche le proprie responsabilità. In Google, ad esempio, dev’essere sempre chiaro chi sarà il “decision maker”, certamente una buona pratica.
- Secondo uno studio dell’Huffington Post, in media, i lavoratori americani dedicano 6,3 ore la settimana per gestire le email. Lasciando ai veri “email ninja”, come l’autore Tim Ferriss, il sogno dell’assenza di messaggi nella cartella inbox, vediamo qualche suggerimento pratico:
- Pianificare nel corso della giornata non più di due o tre momenti in cui si controlla e si gestisce la posta. Disabilitare tutte le notifiche, sono il male assoluto.
- Fare affidamento su sistemi automatizzati per gestire le comunicazioni poco rilevanti. Io uso, ad esempio, me che raggruppa tutte le newsletter in un unico messaggio di cui posso scegliere la frequenza (da giornaliero a mensile). Semplice, efficace ed aiuta a fare decluttering nella casella della posta.
- Dare priorità e non farsi prendere dall’ansia di rispondere. Non siamo tenuti a dare seguito a tutte le email, ma è importante attribuire a ciascuna la giusta importanza. In generale, vale la regola che meno messaggi inviamo, meno ne riceveremo e, quindi, a volte, possiamo pensare di dare una risposta anche informalmente per telefono o alla macchina del caffè.
Ridurre il tempo dedicato alle email è una sfida possibile, tanto che Atos, società leader nei servizi digitali, sta progressivamente abolendo le email per i suoi 76.000 dipendenti, per ritrovare una “social collaboration” che pare veramente perduta.
Qual è, dunque, il grande tema sollevato dal decluttering? Fondamentalmente quello della focalizzazione. Negli anni ci siamo circondati di tutto quanto la tecnologia ha reso disponibile per riempire anche il più breve tempo “improduttivo”. Abbiamo cercato di imparare il multitasking, scrivendo messaggi non necessari né urgenti al supermercato. Non abbiamo colto l’opportunità della tecnologia di semplificarci la vita e oggi siamo soprattutto molto occupati. Ma come diceva il filosofo americano, Henry David Thoreau: “Non basta essere occupati. La domanda è: in che cosa siamo occupati?”.
Ecco, dunque, il decluttering: togliere l’inutile per rifocalizzarsi sull’essenziale.