5 regole fondamentali per la formazione dei collaboratori
Una delle competenze principali di un manager è quella di trasmettere il proprio know how ai collaboratori. Il buon capo è quasi sempre un buon maestro/formatore/istruttore.
I manager purtroppo tendono a sottovalutare questo aspetto del loro lavoro. Non è un caso che la mancanza o addirittura l’assenza di formazione adeguata costituisca uno dei motivi di risentimento più diffusi all’interno delle imprese.
Di seguito cinque suggerimenti per gestire al meglio la formazione delle proprie risorse.
1) La formazione necessità di momenti di massima focalizzazione sul trasferimento di competenze, rigidamente separati dall’attività lavorativa ordinaria. L’errore più comune per un capo è quello di fare eccessivo affidamento sull’idea che per apprendere sia sufficiente osservare e imitare. Secondo questo approccio insegniamo come si fa qualcosa facendolo, teaching by doing. Si tratta di un’idea attraente perché associata nella prospettiva di un manager ad un risparmio di tempo: “non ho bisogno di fermarmi per dedicarti il mio tempo. Io continuo a lavorare, tu mi osservi e impari.” In realtà ci troviamo di fronte ad un’illusione. In questa modalità infatti chi dovrebbe imparare resta passivo, non è ingaggiato in prima persona, non è sufficientemente attivato dal punto di vista cerebrale. Il risultato è un trasferimento di competenze molto povero;
2) Una formazione è efficace se è limitata e circoscritta alle sole competenze che il collaboratore sarà chiamato a giocarsi immediatamente. Inutile dedicare del tempo a trasmettere un know how che poi per mille motivi il lavoratore non potrà utilizzare nel breve termine. Ti insegno solo ciò che potrai e dovrai fare domattina. Altrimenti rischio di riempirti di informazioni rispetto alle quali non hai sufficienti motivazioni all’apprendimento. E’ un errore che si compie perché si desidera ottimizzare un processo (“ti dico tutto adesso in modo che una volta per tutte tu possa diventare autonomo e non abbia più bisogno del mio supporto formativo”), ma che si traduce in un enorme spreco di tempo e di denaro. Accade perché abbiamo un cervello pigro ed egoista. Ci sforziamo veramente di imparare solo ciò che ci emoziona o ciò che sappiamo essere immediatamente necessario.
3) Per trasmettere in modo efficace delle competenze operative bisogna progettare esperienze formative sfidanti, bisogna creare cioè delle situazioni, più o meno protette, in cui chi impara possa vivere il disagio dell’incompetenza, possa sentirsi incapace, goffo. Imparo solo se sperimento che mi manca qualcosa e se attivo il mio cervello alla ricerca di una soluzione. In questa prospettiva leggere delle slide o ascoltare un discorso non è un’esperienza formativa sfidante.
4) Quando il manager ha trasferito un know how deve responsabilizzare il suo collaboratore invitandolo a giocarsi immediatamente e in autonomia la competenza appresa. Questa dinamica inevitabilmente espone il manager all’ansia del controllo: “E se adesso sbaglia? E se succede qualcosa?” Per evitare che si rompa il patto di fiducia su cui si fonda qualsiasi processo di trasmissione del sapere, occorre che capo e collaboratore definiscano insieme il massimo errore accettabile, quella soglia di perdita potenziale superata la quale il capo si sente legittimato a riprendere la guida senza che il collaboratore lo avverta come una certificazione di incapacità e fallimento.
5) Per essere dei bravi formatori è necessario credere davvero alla formazione, intesa come possibilità di crescita e di evoluzione delle persone. Se mentre ci occupiamo di istruire il nostro collaboratore affiorano nella nostra testa i soliti pensieri distruttivi e limitanti (“tanto non è per lui”, “non è cosa sua”, “non lo farà mai”) è meglio smettere immediatamente. Stiamo sicuramente perdendo tempo e probabilmente senza accorgercene stiamo trasmettendo un segnale di giudizio e sfiducia che non può non turbare il rapporto personale.