Venezia 80 e il mondo del cinema che cambia
Da alcuni anni la Mostra del Cinema di Venezia, a differenza di Cannes, ha deciso di interpretare i tempi che mutano. I film, provenienti da tanti Paesi, affrontano nodi politici e sociali senza nascondersi e facendo storcere il naso a molti governi. Ma quel che conta sono sempre le storie da raccontare e le persone al centro di queste narrazioni.
Hollywood ma non solo
Un po’ di numeri, che aiutano a capire di che mastodontico evento stiamo parlando. Si sono iscritti alla selezione per essere inseriti nelle due sezioni competitive della Mostra del Cinema di Venezia 2023 (Concorso e Orizzonti) ben 2100 lungometraggi, da 54 paesi del mondo. Il 32 per cento di questi diretti da donne (in miglioramento, ma ben lontani dalla parità di genere), 66 per cento da uomini, e il restante 2 per cento da autori non binari che hanno chiesto di non essere compresi nelle due categorie precedenti.
Di questi oltre duemila film, giusto una cinquantina sono sopravvissuti alla selezione feroce che un comitato di esperti – insieme al direttore artistico Alberto Barbera – ha operato con grande rigore, da gennaio a luglio, facendo solo quello tutto il giorno e tutti i giorni. Quindi solo il 2,5 per cento dei titoli che anelavano a sbarcare al Lido ce l’ha fatta. Ecco perché è giusto considerare i grandi festival uno specchio del meglio che si muove nel cinema internazionale.
Il rispetto delle soggettività
Quest’anno, poi, il doppio sciopero di attori e sceneggiatori ha messo parzialmente in crisi il prodotto hollywoodiano. Ma, rinunciando a qualche red carpet, Venezia saprà ugualmente dar voce a tanti racconti globali e diversi, provenienti dalla vecchia Europa come dal nord Africa, dal Giappone come dal Cile. E non solo per capire meglio quelle realtà, ma per capire meglio noi stessi, visto che mai come oggi (pandemia e guerre ce lo hanno tragicamente confermato) tutti i cittadini del mondo sono connessi gli uni con gli altri.
Intrigano, quindi, i film che si sforzano di esibire altri punti di vista. Per esempio Io, capitano di Matteo Garrone, dove il regista romano – dopo aver analizzato in lungo e in largo i confini sociali e antropologici italiani – decide di raccontare la terribile epopea di due africani alla ricerca di una migrazione verso il nostro Paese. Invece Woman Of di Małgorzata Szumowska, Michał Englert analizza la difficoltà di un marito e padre polacco nel riconoscersi ormai separato dal suo corpo e desideroso di una transizione sessuale, in un Paese oggi decisamente ostile nei confronti delle persone di orientamento non tradizionale come la Polonia contemporanea; e dalla Polonia viene anche Agnieszka Holland con The Green Border, che racconta invece le disavventure dei rifugiati siriani nell’Europa dell’Est. Se si aggiungono le attese biografie del compositore Leonard Bernstein (Maestro di Bradley Cooper), di Priscilla Presley (Priscilla di Sofia Coppola), di Enzo Ferrari (Ferrari di Michael Mann) o la chiave surreale usata da Pablo Larrain per raccontare il Cile (mettendo in scena Pinochet come vampiro), vediamo quanti linguaggi e forme diverse il cinema sia in grado di mettere in campo al fine di scavare nel tessuto della realtà e della Storia.
L’Italia che sfugge
Quanto sia difficile applicare lo stesso metro ai registi italiani lo dimostra il rapporto a dir poco ambivalente che il nostro pubblico ha nei confronti del prodotto nazionale. A Venezia, storicamente, i film tricolori vanno in punta di piedi anche per paura dei critici, che sul Lido si presentano agguerriti e talvolta non perdonano certi difetti soprattutto nel confronto inevitabile con gli altri film internazionali. Ma sia il film di apertura – Comandante di Edoardo De Angelis, che rilegge in chiave epica un controverso episodio della Seconda Guerra mondiale – sia Giorgio Diritti – che in Lubo racconta l’epopea brutale di un giovane nomade, definito zingaro, all’altezza del 1939 in Svizzera e nell’Europa squassata dal conflitto imminente. E anche gli altri registi in concorso (Castellitto, Costanzo, Sollima) promettono osservazioni inedite a cavallo tra passato e presente, che ci aiuteranno a capire a quale punto del guado si trovi l’immaginario italiano.