Tutti pazzi per Barbie, l’icona pop dell’empowerment femminile
Il “Barbiecore”, cioè la tendenza che ha investito l’immaginario globale, è arrivato ancora prima dell’uscita nelle sale del film di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling. Un’operazione insieme pop e cinefila capace di dare un nuovo status di icona femminista alla bambola più famosa del mondo.
Una rivoluzione in rosa
Sulle passerelle è tutto pink, e non solo per “colpa” di Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino che ha rilanciato la nuance oggi più in voga. La vernice “pantone Barbie” è andata esaurita in molti negozi di fai-da-te statunitensi. Ed è stato addirittura coniato un nome ad hoc per la tendenza a vestirsi e arredare la propria casa come la bambola più famosa della Mattel: Barbiecore. Barbie, il film di Greta Gerwig con protagonisti Margot Robbie (Barbie) e Ryan Gosling (Ken), affiancati da un cast sterminato di cui fanno parte star di tutti i tipi, da Helen Mirren a Dua Lipa, non è ancora uscito (arriverà nelle sale italiane il 20 luglio), ma l’hype ha già investito l’immaginario e i costumi (anche letteralmente) di mezzo mondo. Non si vedeva da moltissimo tempo un titolo capace di creare questa forza inarrestabile sul fashion e la cultura su scala internazionale. “Il sentimento che caratterizza il Barbiecore è la nostalgia”, ha detto al Washington Post Kim Culmone, responsabile globale del design di Barbie. “Ma c’è anche l’elemento della gioia, dell’abbracciare senza freni quello che si ama. E in più c’è un altro tema chiave: l’iper-femminilità”.
Un nuovo sguardo femminista
“Quando sono stata ingaggiata io penso che la cultura globale non fosse pronta ad accettare la ‘pupa bionda’ come un archetipo femminista e non il semplice stereotipo a cui eravamo abituati”. Parole di Diablo Cody, sceneggiatrice premio Oscar per Juno che, quasi dieci anni fa, fu chiamata a scrivere il copione del primo progetto cinematografico dedicato a Barbie. “Oggi se si cerca ‘Barbie’ su TikTok si trova tutto un mondo di sottocultura che celebra il suo essere femminile e femminista”, continua Cody, “ma nel 2014 fare di questa bambola alta e bionda un’eroina era un’impresa quasi impossibile”. Che cosa è cambiato oggi? La prospettiva che ha allargato lo sguardo, nell’industria di Hollywood e non solo, a tutte le tipologie sociali a cominciare dalle donne, una minoranza ma solo per il cinema, che con l’ondata MeToo ha rivendicato il proprio posto dietro e davanti la macchina da presa. “Quando parlo di Barbie, preferisco definirlo un film ‘umanista’, non femminista. Perché è un film che parla di cosa vuol dire essere umani”, dichiara la regista di Barbie, Greta Gerwig.
Un progetto tra pop e cinefilia
Tra gli altri primati di Barbie c’è anche la capacità di unire il lato orgogliosamente pop (e, addirittura, kitsch) alla pura cinefilia. Senza, in tutto ciò, scontentare il brand di partenza, ben contento di rilanciare il suo prodotto più celebre senza però renderlo un mero product placement che puzza di “marchetta”. Un’operazione simile era riuscita, negli anni, alla Lego con la serie di film iper-citazionisti e spassosissimi, che però restavano nel campo in fondo più “sicuro” dell’animazione. Dopo le tante traversie che ha incontrato il progetto Barbie (oltre alla sceneggiatura naufragata di Cody, per il ruolo principale si sono succedute nel tempo Amy Schumer e Anne Hathaway), il film che vediamo oggi mantiene lo spirito “largo” della bambola più venduta e conosciuta di sempre, ma si fonda su un comparto creativo e artistico che è, appunto, übercinefilo: la regista Greta Gerwig, già autrice dei film candidati all’Oscar Lady Bird e Piccole donne, ha scritto il copione insieme al compagno, l’altro autore intellò amatissimo ai festival e a Hollywood Noah Baumbach (i suoi lavori più recenti sono Storia di un matrimonio e Rumore bianco). E i protagonisti sono due divi amatissimi da pubblico e critica: Margot Robbie, che ha lavorato con nomi come Martin Scorsese (The Wolf of Wall Street) e Quentin Tarantino (C’era una volta a… Hollywood), e Ryan Gosling, passato dal neo(n)noir di Nicolas Winding Refn (Drive) al musical d’auteur di Damien Chazelle (La La Land). La ciambella è riuscita col buco? Sì. E ovviamente è un donut rosa confetto.