Rileggere «Il sentiero dei nidi di ragno» di Calvino per annientare la paura
Non ci può essere amore se non si è sé stessi con tutte le proprie forze. Italo Calvino parla attraverso i suoi personaggi come pochi scrittori sanno fare. E risveglia interrogativi ancestrali.
Come si fa a credere in qualcosa? Gli ideali hanno ancora un significato? Ce lo domandiamo probabilmente anche noi, ogni giorno, senza mai trovare una risposta che convinca.
Nei libri di fantascienza il futuro è stato spesso dipinto come una galassia dominata da solitudine e individualismo. Un mondo in cui ognuno vive per e con sé stesso. La tecnologia, i cellulari, i social, se esasperati, possono portare anche a questo. Non c’è bisogno di arrivare all’eccesso degli hokikomori giapponesi, chiusi nelle loro case davanti agli schermi dei computer, soggiogati da un’agorafobia indotta. Ma siamo prede facili. Senza ideali e passioni è semplice perdersi. Non ricordiamo più la nostra giovinezza, nemmeno quando siamo ancora giovani. E la scalcagnata banda di ragazzini de Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino ce lo rammenta con una forza narrativa che ci spinge a pensare ai sentimenti veri, quelli che inevitabilmente proiettano all’infanzia.
Il primo romanzo della fortunata produzione di Calvino racconta di un gruppo di ragazzini votati alla Resistenza. Il romanzo si colloca in quella schiera di opere tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Cinquanta, che si incarica di raccontare la storia recente mostrandone gli errori, le contraddizioni, i risvolti più problematici. E con gli occhi dei bambini ne dipinge i retroscena più veri. Quanto è difficile vivere senza sovrastrutture, quanto è complicato mostrarsi per come si è veramente senza paura di essere giudicati o di restare soli. A volte è troppo facile ma anche molto pericoloso focalizzarsi soltanto su ciò che non abbiamo. Spesso lo facciamo. Bisognerebbe imparare a separare i ricordi dal dolore e a scindere le soddisfazioni dall’euforia. Un manuale di buone intenzioni? Forse ma senza obiettivi, senza sogni, l’uomo è poca cosa.
Non sempre i bambini devono imparare dagli adulti. Lo sguardo di Pin, il protagonista dei sentieri dei nidi di ragno, è vergine, è quello di chi il mondo non lo conosce. Ma è davvero utile l’esperienza? A volte serve soltanto a renderti vecchio, stanco e abituato. E l’abitudine a vedere certe cose, a vivere alcune situazioni, a non aspettarsi nulla, ci mette un attimo a diventare disillusione. Pin lo sa: per lui l’esperienza è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso. E prende alla lettera quello che osserva ed è proprio così che le vicende degli adulti intorno a lui appaiono a chi legge sotto una nuova luce . Attraverso questa prospettiva allucinata , affastellata dai colori e dagli inaspettati fenomeni che la natura disvela, la realtà acquista una dimensione fiabesca, astratta, in dissonanza rispetto agli avvenimenti tragici che racconta. C’è un filtro di emozione e purezza che solo gli occhi dei giovani hanno. Quando osserva e non comprende gli amori, le gelosie, i tradimenti e le violenze, lo sguardo di Pin si dimostra acuto e ingenuo al tempo stesso. Privi di qualsiasi preconcetto, i suoi occhi traducono quei comportamenti con la sua coscienza di bambino. Lo stesso spirito che lo fa essere involontariamente spietato nel marcare le debolezze, le meschinità e le contraddizioni di un’umanità partigiana, quasi un contro modello rispetto a quel che ha tramandato la Storia. Perché si sa: i rivoluzionari a volte sono più formalisti dei conservatori.
Questo romanzo ha il pregio di narrare quanto sia eroico aprire la mente oltre che spalancare gli occhi e non isolarci nel pensiero unico. Ascoltare non può che far bene, Pin lo capisce, lo sa, lo sente. Lui che cerca l’amicizia vera in un mondo di apparenze, si rifugia nel sentiero dove i ragni fanno i nidi, sarà lì che prima nasconderà e poi ritroverà sé stesso. E le sue parole echeggiano in quel mondo, il suo mondo di solitudine: l’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo.