Sabrina Marin racconta doti e segreti del Divin Pittore, Raffaello Sanzio, a 500 anni dalla sua morte
Centodieci torna sui palchi d’Italia con il suo ciclo di incontri a tema Arte: ad inaugurare il filone è Sabrina Marin, esperta e storica dell’arte. Attraverso un emozionante racconto, tenutosi il 27 maggio presso il Teatro Busan a Mogliano Veneto, Sabrina porta gli appassionati a scoprire i segreti di Raffaello Sanzio, in occasione dei 500 anni dalla sua morte. Un artista dal talento ineguagliabile che, superando i suoi maestri, raggiunse gloria e onore conquistando in brevissimo tempo la fiducia del Papa, l’amicizia dell’uomo più ricco d’Europa, la complicità dell’Intellettuale più raffinato d’Italia e l’amore della donna più ambita di tutta Roma.
Grazie al supporto di splendide immagini e attraverso alcune delle opere più significative, Sabrina Marin ha raccontato la storia del giovane pittore nativo di Urbino e ha descritto il percorso creativo che lo ha portato ad essere uno degli artisti più apprezzati al mondo. Morto ad appena 37 anni, lasciando una collezione di incredibile importanza storica, Raffaello si appassiona alla pittura fin da piccolo grazie alla bottega del padre, morto quando l’artista era ancora giovane. Per la sua formazione hanno avuto grande importanza Piero della Francesca, il Perugino e Leonardo da Vinci, che il pittore decisamente superò dal punto di vista della qualità delle opere, perché alla ricerca costante e determinata dell’autoaffermazione e della voglia di emergere. Ad aprire l’evento condotto da Sabrina Marin, il dipinto in cui si può maggiormente ammirare la grandezza di Raffaello: Lo Sposalizio della Vergine. L’artista realizzò l’opera ispirandosi al Perugino, conosciuto dai più come uno dei suoi maestri: il dipinto venne realizzato dall’artista all’età di 21 anni, ma analizzando le opere di Raffaello, l’estro creativo e la precisione del dipinto, si potrebbe attribuire l’opera a un momento più maturo della vita artistica di un pittore appena uscito dalla bottega di un maestro. Il Perugino dipinse lo stesso soggetto per una chiesa di Perugia, ma le differenze tra i due quadri sono notevoli: Lo Sposalizio della Vergine, dipinto a olio su tavola, è, infatti, tra i più conosciuti per essere tra le opere più simmetriche nella storia dell’arte e per l’utilizzo maestrale della costruzione prospettica dell’immagine. Il punto di fuga, infatti, è posizionato abilmente all’interno del tempio alle spalle dei personaggi di modo da attirare lo sguardo dell’osservatore sulla scena principale posta in primo piano.
Lo Sposalizio della Vergine non è l’unica opera ispirata ai suoi maestri: tra i suoi dipinti più famosi e importanti troviamo la Fornarina che, al primo sguardo, richiama agli occhi dell’osservatore la Gioconda di Leonardo. La posizione, il soggetto e la luce sono i tratti che accomunano le due opere, ma la vera peculiarità resta nel legame che entrambi gli artisti hanno cucito con i rispettivi dipinti. Raffaello e Leonardo, infatti, hanno conservato la propria opera fino alla morte. La Fornarina, come la Gioconda, è un dipinto che porta con sé un alone di mistero, non solo per il segreto che nasconde, ma anche per l’identità reale del soggetto: pare che per Raffaello la donna ritratta sia il suo grande amore Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere da cui appunto deriva il nome del quadro. Le leggende intorno a questa storia d’amore sono numerose, qualcuno la descrive come l’unico vero grande amore che Raffaello provò fino alla morte, oltre che la sua musa ispiratrice per altri quadri dalla forte somiglianza, come La Velata, la Madonna Sistina e il Trionfo di Galatea.
Nelle parole di Sabrina Marin oltre che l’artista, anche l’uomo: la storica dell’arte ha saputo descrivere la grande determinazione e la voglia di rivalsa di un giovane pittore apparentemente docile, elegante e raffinato, ma che è riuscito a rivoluzionare la storia dell’arte. Un genio creativo che ha affascinato gli appassionati e conquistato gli sguardi anche dei meno esperti e che, come scrisse nel suo epitaffio Pietro Bembo, “quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.