Fare foresta: 4 libri da leggere per riscoprire il nostro legame con la natura
A parte qualche eccezione laterale o periferica, possiamo definire la società di oggi, in particolare quella occidentale, come urbana e digitale. Sono queste infatti le due caratteristiche che più la contraddistinguono: siamo abituati a un orizzonte comunicativo e informativo che dipende in gran parte dai mezzi connessi alla rete e ci muoviamo per la stragrande maggioranza del tempo in un panorama cittadino, antropizzato. Eppure c’è anche molto altro, anzi abbiamo sete di molto altro.
Quest’altro è sicuramente la natura, quello spazio verde che in certe giornate di grigiore di città sentiamo così lontano da noi. Fin dall’antichità la natura è stata la metafora bucolica di concetti come serenità, pace, vita utopica e senza affanni, contrapposta a un’esistenza collettiva, organizzata, se vogliamo politica. Anche oggi e con più forza l’approdo naturale è una specie di terra promessa, di fuga – almeno ideale o culturale – dagli affanni di tutti i giorni. E questo è testimoniato anche dal fiorire di un certo genere di pubblicazioni editoriali che vedono nella natura, spesso selvaggia, incontaminata o sconosciuta, un orizzonte di salvezza.
Iniziato forse qualche anno fa con Norwegian Wood di Lars Mytting (Utet), c’è tutto un filone che tende in particolare a esplorare le connessioni ormai perdute, ma ancestrali o quasi misteriche, che abbiamo con le piante. Il mondo vegetale rappresenta circa il 98% della biomassa presente sulla Terra, eppure la nostra formazione mentale ci porta a dare molto più valore al regno animale, per non dire quasi esclusivamente al genere umano. Eppure c’è chi dice che le piante ci parlino, comunichino con noi, siano essenziali per il nostro equilibrio (oltre a essere fondamentali fonti di ossigeno senza le quali non saremmo qui).
Un bellissimo manuale appena uscito per Utet, Alberi sapienti, antiche foreste di Daniele Zovi, è un intrigante percorso attraverso le specie vegetali che diamo più per scontate. Grazie alla sua esperienza quarantennale di tecnico forestale, l’autore spinge il lettore a guardare con altri occhi il panorama vegetale che ci circonda: “Gli alberi entrano in relazione tra loro, con gli animali e con noi; hanno consapevolezza dell’ambiente in cui vivono; comunicano inviano e ricevendo messaggi; intessono relazioni di amicizia, sono solidali… Si addormentano alla sera e si risvegliano alla mattina. Elaborano strategie di vita, di conquista, di resistenza”. In definitiva, suggerisce Zovi, “ci assomigliano più di quanto siamo portati a credere”. Dalle betulle all’abete rosso, dalle querce nane al cedro del Libano, con questo libro si fa un percorso non solo fra le specie arboree ma si scoprono anche incontaminate valli del Trentino, si leggono citazioni da testi fondamentali della nostra letteratura, si fanno incontri eccezionali come con il sublime violoncellista Mauro Brunello. A dimostrazione, quindi, che abbandonarsi a suggestioni vegetali non è solo sinonimo di un fantomatico desiderio di fuga o di altrove, è anche l’immersione negli echi più rincuoranti della nostra cultura.
Ma questi echi e queste suggestioni possono essere anche personali, privatissimi. Lo dimostra uno dei più bei romanzi usciti negli ultimi mesi, Faremo foresta di Ilaria Bernardini (Mondadori). In questa storia di riscatto e di riappropriazione di sé, Anna si lascia col marito e inizia a trovare soluzione all’aridità che la circonda quando un giorno, di fronte a lei, l’amica Maria crolla a terra per un aneurisma. Il recupero di Maria e la rinascita di Anna si legano assieme in un progetto comune: trasformare il terrazzo della nuova casa di quest’ultima in una rigogliosa foresta urbana, fiorita e feconda. Alle terre desolate che sono le esistenze di tutti noi le due protagoniste rispondono piantando i semi dell’empatia e della solidarietà, di un contatto più terreno e pratico con la vita. “Se ci siamo rinvasati, se abbiamo tutti trovato un nuovo posto dove metterci, questo è il periodo in cui stiamo fiorendo”, dice a un certo punto la voce narrante di Bernardini.
L’identificazione con le piante non è banale né ingenua. Lo spiega ad esempio anche il neurobiologo Stefano Mancuso che nel suo Plant Revolution (Giunti) spiega come nel mondo vegetale possiamo trovare tutte le soluzioni, soprattutto tecnologiche, che ci serviranno in futuro: perché le piante sono “la rappresentazione vivente di come solidità e flessibilità possano coniugarsi”. Lo stesso assunto che spinge le ricerche di Barbara Mazzolai, forse una delle più grandi scienziate che abbiamo in Italia, che studia come perfezionare i cosiddetti plantoidi, robot che – abbandonato il modello antropomorfo – si rivolgono alle capacità di adattamento e crescita modulare dei vegetali, spingendosi in ambiti altrimenti preclusi.
Pare dunque che il nostro futuro sia verde. Non solo per volontà di fuga e di rigetto per l’antropizzazione esagerata del nostro presente, ma anche perché finalmente abbiamo capito che la vegetazione non è un’entità inerme ma un elemento da cui trarre saggezza e utilità, oltre che equilibro: forti, resistenti ma al contempo cangianti e adattabili, le piante ci sono d’esempio. E, in fondo, se aveva ragione Ovidio nelle sue Metaformosi a dire che “nulla va perso nel vasto mondo, ma solo rinnova il proprio aspetto”, potremmo essere anche noi nient’altro che novelli Dafne o Giacinto. Basta prenderne consapevolezza e magari imparare anche qualcosa.