Riapre la Biennale di Venezia 2021: dopo tre anni di riflessioni, How will we live together?
Dopo tre lunghi anni, l’attesa Biennale di Venezia riapre al pubblico e lo fa con un interrogativo, o meglio dire, con una richiesta How will we live together? Da qui parte la riflessione de La 17. Mostra Internazionale di Architettura, curata da Hashim Sarkis, professore del Massachusetts Institute of Technology, la più influente università di ricerca nel mondo. In un ambiente che è sempre più legato alla costante attenzione verso i cambiamenti climatici, alle questioni di natura sociale e sulla via per vivere una nuova normalità, dopo una pandemia che ha ridotto sensibilmente le aspettative sul futuro, gli individui oggi hanno necessità di sapere come riusciremo a vivere sul nostro Pianeta. Le risposte ci arrivano da immunologi, virologi, scienziati, economisti e politici, ma “in un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”. Così, anche gli architetti, che già nel 2019 sono stati messi davanti a una sfida importante, come questa, hanno cercato per tre lunghi anni di rispondere a questo interrogativo e le risposte le troviamo finalmente in scena dal 22 maggio fino al 21 novembre 2021.
“Ci salveranno gli architetti” lascia intendere Sarkis nella conferenza stampa di apertura della Mostra, organizzata su cinque scale di grandezza, l’individuo, le abitazioni, le comunità, il territorio e il pianeta: 114 nomi arrivati da 46 paesi nel mondo, molti provenienti dai più colpiti dall’emergenza Covid, Africa e America Latina hanno contribuito a questa importante riflessione. Le parole del professore confluiscono nel saper vivere insieme, nel senso di condivisione dello stesso spazio tra uomini, animali, piante, acqua e aria, affidando il compito, come lui stesso spiega, “ad una nuova generazione di architetti, generosi sintetizzatori di diverse forme di competenza e di espressione che riusciranno ad abbattere i muri del secolo breve, far convivere pacificamente le genti, a economizzare le risorse, rispettare piante animali del nostro pianeta”. Costruire e ricostruire spazi comuni, i visitatori possono assistere a spazi dedicati ai mari e alle foreste, altri dedicati al corpo e alle comunità: ogni singolo progetto arricchisce di contenuto How will we live together, con proposte anche su materiali alternativi e tessuti sociali innovativi. Dall’Arsenale ai Giardini, gli individui leggono storie, progetti, costruzioni di un futuro migliore e condiviso. Partendo proprio dal principio, all’Arsenale, l’architettura incontra le prime tre categorie – Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities – che indagano il rapporto con la natura, l’ausilio della scienza e il senso di comunità. Alcuni dei progetti vengono identificati come installazioni in divenire, per esempio citiamo il MAEID, un braccio robotico che pianta e coltiva spore e alcuni plastici dove le piante crescono e saranno trapiantate a manifestazione conclusa. Nella sezione dedicata alle abitazioni si incontrano proposte su nuovi modi di concepire i luoghi e il loro impatto sulle nostre vite e sul mondo, utilizzando materiali alternativi per rispondere a una delle esigenze delle Nazioni Unite di ridurre l’impatto ambientale. L’ultima parte delle Corderie affronta tematiche socio-politiche e nuove idee come quella del TUMO Center for Creative Technologies che racconta, attraverso gli schermi, la scuola del futuro dove sono gli studenti a essere responsabili della propria educazione. La strada si apre poi verso i Padiglioni Nazionali, in cui inizia il viaggio tra le culture: in questi progetti si susseguono temi che riguardano l’ambiente e il nostro Pianeta. In particolare, ogni Paese ha dato la sua visione di quelle che possono essere tematiche come il rispetto delle biodiversità o a volte di denuncia verso una mancata collaborazione tra comunità: il messaggio è dunque quello del supporto, trasformandolo in modelli architettonici che possano essere capaci di coinvolgere l’intera collettività. Molti progetti vedono le presentazioni di possibili soluzioni che consentano di costruire insieme alla natura senza soffocarla. La Mostra termina ai Giardini con Future Assembly di Studio Other Spaces:
“Le Nazioni Unite – il paradigma per un’assemblea multilaterale del ventesimo secolo – furono fondate nel 1945 in risposta a crisi politiche, sociali, economiche e umanitarie” -hanno dichiarato SOS e i co-designer di Future Assembly. “Oggi è necessaria una risposta altrettanto radicale all’urgente crisi climatica provocata dall’uomo. Future Assembly si basa sui principi di reciprocità, collaborazione e coesistenza. Questo si estende al nostro approccio progettuale: immaginare futuri possibili ci richiede di trovare nuovi modi per rappresentare spazialmente diverse attività non umane, perché possano avere voce in capitolo”.
Tutti i rappresentanti sono stati chiamati a dare una propria interpretazione su quale aspetto potrebbe avere un’assemblea multilaterale del futuro. Gli ideatori del progetto hanno dunque chiesto a tutti i partecipanti della Biennale Architettura 2021 di immaginare e scegliere uno stakeholder sovraumano, che ritengono meriti di essere rappresentato all’interno dell’assemblea del futuro.
La 17. Mostra Internazionale di Architettura è un manifesto futuristico, un richiamo alla speranza e alla fiducia in una società e un ambiente migliore, dove sappiamo di essere in grado di poter vivere bene insieme.