Raffaello è diventato grande (anche) grazie alla competizione con Michelangelo
[et_pb_section fb_built=”1″ admin_label=”section” _builder_version=”3.22″][et_pb_row admin_label=”row” _builder_version=”3.25″ background_size=”initial” background_position=”top_left” background_repeat=”repeat”][et_pb_column type=”4_4″ _builder_version=”3.25″ custom_padding=”|||” custom_padding__hover=”|||”][et_pb_text _builder_version=”4.4.1″]
Il 6 aprile di cinquecento anni fa moriva a Roma Raffaello Sanzio (1483-1520), pittore tra i più celebri del Rinascimento, che ha segnato in maniera significativa lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire, fino ai giorni nostri.
Il viaggio per comprendere l’importanza dell’eredità, non solo in termini artistici, che il pittore urbinate ci ha lasciato, parte dalla stanza numero 41 del corridoio di ponente delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Riallestita nel 2018, la sala presenta alcuni dei capolavori più importanti del museo stesso e del periodo rinascimentale, accogliendo insieme le opere di Raffaello e del suo grande, storico rivale, Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Al centro della sala troviamo infatti il Tondo Doni di Michelangelo e ai lati diverse opere di Raffaello: i ritratti di Guidobaldo da Montefeltro e di Elisabetta Gonzaga, il San Giovannino, la Madonna del Cardellino e i ritratti dei coniugi Doni, Agnolo e Maddalena, spostati appositamente agli Uffizi da Palazzo Pitti per essere esposti a fianco del tondo michelangiolesco.
Nel dialogo tra i capolavori di Raffaello e Michelangelo c’è l’eco di un rapporto effettivamente consumatosi, dal 1504 al 1508, quando i due si trovavano contemporaneamente a Firenze. Quando Raffaello vi si trasferì ventunenne, la città era il più vivace centro di elaborazione della nuova cultura figurativa attorno alla quale ruotavano gli eventi legati a Leonardo e Michelangelo. Raffaello ha sempre dimostrato grande interesse per l’arte di Michelangelo, e il trasferimento a Firenze fu dettato proprio dalla volontà di vedere le innovative opere del Buonarroti, come i cartoni degli affreschi nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
Raffaello studiò con attenzione anche il colossale David, capolavoro che Michelangelo aveva da poco scolpito e che il Sanzio riprodusse su alcuni particolareggiati disegni. In numerosi dipinti che Raffaello eseguì tra il 1505 e il 1508 si individuano diverse affinità con le opere di Michelangelo, come nella Madonna Bridgewater, in cui l’uso del colore evoca con efficacia il volume delle figure del Tondo Taddei, o nella Sacra Famiglia Canigiani, il cui San Giuseppe richiama da vicino quello del Tondo Doni.
Ma è Roma il vero terreno di scontro tra i due nemici geniali: si ritrovarono infatti alla Corte pontificia di Giulio II, il quale, nel 1508, commissionò al trentatreenne Michelangelo la volta della Cappella Sistina e al venticinquenne Raffaello la decorazione dei suoi appartamenti privati. Il dissidio, ancora latente a Firenze, esplode con fragore a Roma, facendo emergere le grandi differenze caratteriali dei due: Michelangelo pensieroso, schivo, concentrato su sé stesso; Raffaello sereno, socievole, entusiasta della vita. Il calmo mondo pittorico dell’Urbinate sembra in un primo momento cedere di fronte alla travolgente forza dell’universo michelangiolesco, la cui umanità, sospesa tra colpa e speranza appare in contrasto con la morbidezza e la tranquillità che caratterizzano quella dipinta da Raffaello. La potente plasticità dei corpi di Michelangelo trova attuazione nelle figure della Sistina, riuscendo a soggiogare il genio assimilatore del pittore di Urbino. Ma Raffaello non si arrende, anzi studia, e, serenamente, combatte, fino a raggiungere il vertice della sua arte, nella maestosa e serena bellezza che seppe conferire alle figure della Disputa del Sacramento, del Parnaso e della Scuola di Atene. Ed è proprio nella Scuola di Atene che risulta evidente la maniera michelangiolesca: qui Raffaello dipinge i grandi pensatori dell’antichità attraverso i caratteri fisionomici dei più significativi artisti del Rinascimento. Platone è Leonardo, Archimede è Bramante. Eraclito, che siede pensoso, corrucciato, in disparte, non è altri che lui, il nemico, eppure il maestro a cui rendere omaggio: Michelangelo. Il bisogno di Raffaello di identificare uno dei filosofi della Scuola di Atene con il Buonarroti rivela in maniera esplicita la sua segreta ammirazione per l’eterno rivale. Ritraendolo isolato dagli altri, in atteggiamento meditativo, Raffaello dà prova di aver percepito e compreso le intime vibrazioni della solitudine che tormentavano l’anima del grande Michelangelo.
Raffaello muore nel 1520, trentasettenne, ben quarantaquattro anni prima del rivale ma senza lasciarsi sfuggire l’occasione di rendergli omaggio, come solo i veri grandi sanno fare. Un insegnamento prezioso per noi ancora oggi.
[/et_pb_text][slider_article max=”10″ _builder_version=”4.4.1″][/slider_article][/et_pb_column][/et_pb_row][/et_pb_section]