Perché la nuova passione per i podcast ha un significato profondo
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La nostra dieta mediatica, ovvero quel mix di fonti di informazione, mezzi di comunicazione e strumenti di intrattenimento che riempiono in modo prioritario il nostro tempo libero, funziona nella maggior parte dei casi secondo mode e trend ben precisi. In un determinato momento diventa molto popolare o molto trendy un certo filone comunicativo e pian piano il pubblico si adegua a queste tendenze che possono essere più o meno longeve, più o meno sensate. Ci sono stati i blog di inizio anni Duemila, poi c’è stato sicuramente il boom dei social che non accenna a frenare se non impercettibilmente, poi oggi siamo sicuramente immersi nell’epoca d’oro delle serie tv. Ma c’è una nuova parola chiave che s’insinua nelle nostre abitudini con sempre più insistenza: questa parola è podcast.
In Italia attualmente la ricezione di questi nuovi media è sicuramente in ritardo rispetto a un mercato più maturo come quello degli Stati Uniti, ma siamo esattamente in quel momento storico in cui si capirà con esattezza se si tratta di una moda di nicchia destinata presto a sgonfiarsi oppure ci sono le potenzialità per creare veri e propri business profittevoli (come appunto accade oltreoceano). Che poi così nuovi i podcast non sono: le produzioni audio seriali, soprattutto in breve formato e di tematica non fiction, sono nate con l’introduzione di iTunes da parte di Apple, ovvero nel 2001, conoscendo alcuni anni di grande hype per poi languire improvvisamente e sopravvivere esclusivamente fra pochi appassionati superspecializzati. Da un po’ di anni a questa parte, appunto a partire dagli Usa, il fenomeno è risorto con grande prepotenza, tutto merito di grandi successi come Serial, una storia true crime estremamente ben scritta che ha riavvicinato al mezzo anche coloro che non erano stati esposti alla prima ondata.
Oggi nei paesi di lingua inglese i podcast sono il nuovo eldorado, con una moltiplicazione vertiginosa delle voci e delle produzioni coinvolte (a volte attirando anche insospettabili snob come Bret Easton Ellis, ma ciò è molto significativo). Le ragioni per questa riscoperta sono molteplici: innanzitutto i mezzi di registrazione e le piattaforme di diffusione sono nettamente migliorati e si sono fatti anche più accessibili, permettendo – anche grazie a sinergie con social e motori di ricerca – di connettersi con pubblici ben precisi, mentre altri canali audio come le radio sono immerse nel pubblico generalista. Il fatto poi che gli smartphone siano una propaggine irrinunciabile dei nostri corpi fa sì che possiamo ascoltarli ovunque e in ogni momento, in particolare in quei momenti di commuting che ci rubano sempre più tempo. Precisi studi scientifici, poi, ci dicono che l’intrattenimento audio corrisponde a precise richieste del nostro cervello, che ascoltando le storie riesce ad agganciarsi più in profondità ad esse perché deve immaginarsi scenari e personaggi esattamente come con la lettura, ma a differenza di quest’ultima lo deve fare a un passo che è esattamente quello scandito dallo scorrere delle parole registrate.
Al di là dei motivi tecnici per cui le serie audio sono sempre più pervasive, almeno nelle abitudini di un certo tipo di pubblico, ce ne sono alcuni che parlano appunto di chi siamo oggi e di come vogliamo vivere la nostra dieta mediatica di cui sopra. Nella miriade di stimoli informativi in cui siamo immersi oggigiorno, i quali passano soprattutto attraverso parole e – sempre più spesso – immagini, c’è chi sente il bisogno di sfuggire da un tipo di comunicazione esclusivamente visiva e ritrovare una dimensione più astratta, riflessiva, se vogliamo intima. Spesso infatti si ricercano nel podcast voci con cui instaurare una specie di rapporto intimo e intellettuale, che viene veicolato appunto dai contenuti. Proprio i contenuti sono un altro stimolo aggiuntivo: a fronte di articoli, post, trasmissioni e quant’altro che ci sembrano pieni di approssimazione e superficialità, se non di vere e proprie fake news, i podcast sono ritenuti più o meno giustamente il reame del contenuto serio e approfondito, delle voci articolate e affidabili. Ed è anche per questo che il modo più diffuso per agganciarsi a un nuovo titolo audio è spesso e volentieri il consiglio di chi ci si fida.
Ma appunto torna la domanda: cosa dice di noi la moda dei podcast? O meglio: chi siamo noi che ascoltiamo i podcast? In Italia è ancora presto da dire: nel 2017 il successo inaspettato di Veleno, la serie audio di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli su un gravissimo fatto di cronaca, ha fatto un po’ come Serial negli Stati Uniti e ha aperto le possibilità di un mercato; altri esempi (come quello di Francesco Costa sulle elezioni americane, ma anche quelli di Matteo Caccia, Michela Murgia ecc.) e vere e proprie realtà produttive (Storie Libere, Piano P, Gli Ascoltabili, senza contare le succursali italiane di Audible, Spreaker e Storytel) stanno cercando di rendere quel mercato una realtà. Gli appassionati di podcast nel nostro Paese sono quindi ancora una nicchia, informata, consapevole e forse un po’ elitaria, ma pur sempre una nicchia. Come si evolverà il pubblico dei podcast e quindi quello che diventeremo è forse ancora presto da dire.
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