Studiamo la filosofia perché ci aiuta a immaginare e comprendere il futuro
Per chi abbia avuto la fortuna di frequentare le lezioni di filosofia alle scuole superiori (non parliamo di chi frequenta filosofia all’università, che ovviamente è un passo oltre), si ricorderà sicuramente di filosofi intenti a immaginare paradossi per poter provare o falsificare qualche teoria di qualche altro filosofo. Spesso gli studenti odiano questi paradossi, alcuni invece li amano per il ragionamento logico che ci sta sotto e per la capacità dialettica, pochi però riescono veramente a vederli come ragionamenti in grado di mettere in crisi la conoscenza che abbiamo della realtà che ci circonda (anche decontestualizzati dalla diatriba per cui sono stati creati).
Un esempio stupendo è il Paradosso di Zenone che era entrato nella diatriba tra Eraclito, che vedeva l’essere nel suo divenire, e Parmenide, che vedeva invece l’essere come qualcosa di immutabile in tutto. Il paradosso in questione diceva che se si tira una freccia verso un bersaglio a una data distanza, prima che la freccia possa arrivare a destinazione deve compiere la metà della strada richiesta, dalla quale dovrà arrivare a metà della strada rimanente tra quella già percorsa e il bersaglio e così via fino ad arrivare alla metà della metà della metà della strada mancante dal bersaglio infinite volte.
Zenone voleva dimostrare che, essendo uno spazio divisibile sempre in qualcosa di più piccolo, ecco che la freccia in realtà non raggiungerà mai il bersaglio, il movimento perciò è logicamente impossibile, e Parmenide aveva ragione a pensare all’essere come a qualcosa di immutabile (anche nella loro posizione nello spazio). Nella logica ha ragione, ma il suo ragionamento si scontra con l’esperienza del mondo che abbiamo ogni giorno, dove il movimento dei corpi è una realtà incontestabile. Tuttavia il Paradosso di Zenone resta tale, una freccia scoccata, sebbene la distanza che deve percorrere è limitata, i segmenti di spazio da percorrere dalla partenza all’arrivo sono infiniti. Se immaginiamo il percorso della freccia come una linea orizzontale con un capo ed una fine, la quantità di segmenti da percorrere è rappresentabile da una parabola ad asse verticale che colleghi capo e fine della linea ma con un vertice che tende all’infinito (in poche parole l’eventuale foglio su cui dobbiamo disegnare la parabola, non sarà mai grande abbastanza per comprendere anche il vertice).
Ma dunque, come è possibile il movimento? Le spiegazioni scientifiche sono state molte, ma nessuna del tutto attendibile, se non una: la Teoria delle Super-stringhe. Tale teoria è nata nella seconda metà del novecento per armonizzare tra loro la Teoria della Relatività di Einstein e la Teoria Subatomica di Plank, che nella visione classica dell’universo cozzavano tra di loro. La Teoria delle Super-stringhe non è verificata, poche è talmente tanto perfetta che ogni esperimento, qualsiasi risultato esso dia, finisce per giustificarla (andando dunque contro al Principio di Falsificabilità di Popper).
Spiegarla è troppo lungo e complicato, ma una cosa fondamentale di questa, che potrebbe essere una teoria del tutto, è affascinante: lo spazio non è divisibile all’infinito, infatti c’è una data lunghezza (1,6×10^-35), chiamata Lunghezza di Plank, sotto cui ogni altra lunghezza inferiore perde significato fisico (è dunque immaginabile a livello empirico ma non è mai raggiungibile nella realtà). Una freccia lanciata,dunque, deve percorrere un numero altissimo di segmenti di spazio piccolissimo, ma comunque un numero non infinito, e per questo la freccia potrà colpire il suo bersaglio (e più in generale, ogni corpo può compiere un movimento).
In poche parole, Zenone aveva capito, pur senza macchinari scientifici, ma solo con l’astrazione mentale, che non esiste un “infinitamente piccolo” 2500 anni prima della fisica moderna. Insomma, la filosofia (che significa “amore per la sapienza”) può portare il nostro spirito a capire cose che sono di gran lunga in anticipo in confronto ai tempi della nostra civiltà.