Per amore, solo per amore
Pare sia inevitabile. È il destino dei “Grandi Eventi” come li chiamava Alberto Arbasino. Come le feste comandate in famiglia a cui tentiamo di sottrarci campando le più ignobili scuse, gli anniversari ci piombano addosso con la stessa imperturbabile puntualità degli interminabili pranzi coi nonni, le zie, i fratelli, le sorelle e i nipotini.
Nel 2021 come tutti sappiamo si celebrano, oltre al secondo anno di pandemia, anche i 700 anni dalla morte di Dante, il poeta che insieme ad Omero e Shakespeare fa parte del così detto “Canone Occidentale”, ossia la più alta vetta culturale della nostra civiltà.
Eppure, nonostante la cospicua mole di pubblicazioni preparate per la bisogna, le cento e mille trasmissioni televisive, le declamazioni e le letture delle cantiche – sia chiaro, tutte iniziative lodevolissime – è facile prevedere che anche stavolta passata la festa il santo sarà gabbato.
Nonostante, secondo gli studiosi di linguistica, circa il 30% delle parole che usiamo correntemente si debbano a lui; nonostante l’invenzione di Beatrice, figura ideale di amore puro ed eterno; nonostante che dopo 700 anni possiamo ancora leggere la “Commedia” senza la mediazione di una traduzione o di una riscrittura. Insomma, nonostante il suo straordinario coraggio di sperimentatore e di innovatore – le doti che sostengono e accompagnano la sua maestria creativa – Dante Alighieri nel migliore dei casi è solo un ricordo di scuola.
Come la riproduzione di un quadro appeso alla parete di casa ci è familiare al punto da apparire scontata e quindi invisibile, Dante è divenuto un’ovvietà che abbiamo smesso di frequentare. Così, trascorsa l’epoca delle interrogazioni, per mancanza di motivazioni e di stimoli abbiamo confinato la povera Commedia nel palchetto più alto della libreria
Dante Alighieri come la matematica? Come le cose che ci paiono difficili al punto di dire “non fa per me, non la capisco”. Se così fosse, crediamo sia – ancora una volta –responsabilità di chi non ci ha fatto comprendere (e quindi amare) l’uno e l’altra; perché, diciamolo francamente, dei tre campioni dell’Olimpo Occidentale il più complesso, difficile, irto di connessioni allegoriche come e più della selva oscura nella quale ha inizio la “Commedia”, è proprio lui il ghibellin fuggiasco. Che, tanto per intricare ulteriormente le cose, ghibellino, cioè seguace dell’Imperatore, lo diventa nella maturità: in gioventù è un guelfo bianco (sì, c’erano anche i guelfi neri: ma questa è un’altra storia).
Eppure le cose che ci uniscono al padre della lingua sono molte più della semplice – si fa per dire – materia linguistica. Proviamo ad elencarle.
La virtù che meglio distingue la “meglio gioventù” della nostra epoca: il bisogno di sperimentare e di lavorare insieme, unendo l’amicizia al lavoro. Da questo punto di vista l’effige benedicente di Dante Alighieri potrebbe a buon diritto campeggiare sui muri di ogni co-working per startupper sofisticati. Perché Dante, come abbiamo già detto, è uno straordinario sperimentatore che trasforma la materia in innovazione: a livello linguistico, per la capacità di creare e mescolare linguaggi diversi e creare nuove parole; a livello concettuale attraverso l’uso della metrica e per la varietà dei temi e degli argomenti, alcuni dei quali come l’amore trattati in modo assolutamente nuovo. La stessa “Commedia”, è il risultato creativo di una formula che fonde livelli stilistico-linguistici diversi: il culmine di un percorso articolato di studio protratto nel corso del tempo che unisce l’invenzione alla tradizione.
Uomo di grandi passioni e di lealtà pagata a carissimo prezzo, lungo tutto il corso della sua vita di politico e di poeta Dante ha tenuto in massimo conto l’amicizia per i “sodali” attraverso un legame di collaborazione e di scambio che esalta lo spirito di gruppo senza avvilire le individualità. E, infine, un ultimo straordinario aspetto che rende Dante nostro simile, nostro vicino, nostro fratello maggiore: la caparbia volontà di perseguire un risultato artistico capace d’essere di straordinaria densità e al tempo stesso popolare. È per questo che “inventa” una lingua molto prima che esistesse una nazione in grado di riconoscersi in quella lingua, l’esatto contrario di quanto avvenne in Francia e in Germania.
Come onorarlo quando, come i pranzi da zia Peppina, anche questo “Grande Evento” sarà sostituito dal successivo? Ecco, abbiamo usato il verbo sbagliato: Dante non si onora, si gusta, si deliba, si assaggia. Come la migliore delle ricette dell’Artusi. Come i grandi vini. Consigli di degustazione: leggere un canto, non necessariamente tutto, non necessariamente secondo l’ordine, della “Divina Commedia” ogni volta che qualcosa o qualcuno ci ha resi particolarmente felici. Ad alta voce, senza timore di non comprendere ciò che si legge. Fa bene al cuore, fa bene alla mente.
Letture facoltative:
Vittorio Sermonti: La Commedia di Dante, Feltrinelli
Alessandro Barbero, “Dante”, Laterza Editore