Per riassaporare la pace, torniamo ai colori di Monet
“Adesso sento bene il paese, oso mettere i toni terra e rosa e blu; è magia, è delizioso, e spero che vi piacerà”. Sono le parole di Oscar-Claude Monet, un inno ai colori che non è solo arte o cultura, ma vita di ogni giorno. E oggi servono, in un panorama così confuso tra guerra e pandemia, delle frasi simili, una sorta di oasi di tranquillità per ricaricare le pile e ad accrescere l’empowerment.
L’arte può diventare relax? Sì, e ne è a conoscenza chi visita musei e gallerie, eppure esiste, parallelamente, una forma diversa, ma che può distendere molto la mente: quella delle mostre immersive. Di che cosa si tratta? L’idea arriva dall’estero, ma si è diffusa da alcuni anni nel nostro Paese. Capofila è sicuramente la capitale, Roma, o Milano, se pensiamo a spazi come il Mudec o la Fabbrica del Vapore, sempre in prima linea sul tema, e autori rappresentati che spaziano da Magritte a Klimt.
Scendendo lungo lo stivale ritroviamo tanti esempi di queste proiezioni a 360 gradi dei dipinti che, seppur non presenti fisicamente, avvolgono il pubblico in un gioco di luci affascinante, con la possibilità di cimentarsi in viaggi di realtà virtuale magari nello studio dell’artista di turno o al centro di un’opera. Un’innovazione che diventa ancora più suggestiva se, un po’ quasi per contrasto, si unisce alla tradizione, e a contesti antichi e ricercati, come luoghi antichi.
È il caso della Chiesa di San Potito, a Napoli (nei pressi del più noto Museo Archeologico Nazionale) dove è stata allestita la “Monet Experience”. Sì perché il titolo, come in altri casi promossi dalla Exhibition Hub, società di Bruxelles specializzata nel settore, suggerisce qualcosa di vissuto in prima persona e che può suscitare grandi emozioni. La scelta del pittore francese è interessante su varie prospettive, tra cui una rappresentazione al femminile, poiché spesso, al centro dei suoi quadri, ci sono tante figure di donne, con istantanee davvero particolari.
E in più occasione i profili ritratti da Monet hanno un nome. Come Camille Doncieux, suo primo grande amore, con cui ha due figli, e che purtroppo viene a mancare anzitempo. In uno dei momenti messi in risalto nel percorso, visitabile fino a fine maggio, c’è lei seduta su una panchina, con un mazzolino di viole in mano.
Ciò che più consente di immergersi letteralmente nella mente e nella storia dell’impressionista è la possibilità di mettersi, come in spiaggia, su una sedia di sdraio e osservare davanti a sé, ai lati, in lato. Oppure passeggiare sul ponte delle famose ninfee. Tanti tasselli che possono apparire distanti dalla collocazione canonica delle creazioni ottocentesche, ma in grado di attirare le nuove generazioni, alla continua ricerca di attività intrise di digitale e di tecnologia, ormai onnipresente.
Staccare dalle scadenze, dagli impegni, da zone conosciute e calcate quotidianamente, per abbandonarsi alle musiche, alle immagini e a un’avvolgente sistema di mappatura e di effetti speciali. E vivere l’esperienza sensoriale in un gioiello architettonico appena riaperto all’esterno. Una mostra per tutte le età, senza vincoli né alcun bisogno di conoscenze pregresse, ma semplicemente per crearsi qualche ora di libertà, necessaria in qualunque percorso di leadership o professionale.
Per un 2022 all’insegna del giusto riposo, evitando il burnout, l’affaticamento da stress con conseguente crollo fisico e psicologico, che durante i lockdown ha colpito soprattutto le donne. E l’immersione in scenari così di pace e serenità può essere davvero catartica.