Almarina di Valeria Parrella: l’importanza di una seconda possibilità
[et_pb_section fb_built=”1″ admin_label=”section” _builder_version=”3.22″][et_pb_row admin_label=”row” _builder_version=”3.25″ background_size=”initial” background_position=”top_left” background_repeat=”repeat”][et_pb_column type=”4_4″ _builder_version=”3.25″ custom_padding=”|||” custom_padding__hover=”|||”][et_pb_text _builder_version=”4.4.6″ hover_enabled=”0″]
In copertina, una donna galleggia sull’oceano. Ha le braccia spalancate, come se fosse pronta ad accogliere e ricevere tutto l’amore del mondo. Eppure, quella sensazione di infinita libertà che la copertina di Almarina di Valeria Parrella evoca sin dal primo sguardo, è la stessa che viene negata all’interno della storia: quella dei ragazzi del carcere minorile di Nisida, a Napoli, e di Elisabetta Maiorano, docente di matematica che ogni mattina, varcata la sbarra di ingresso, abbandona insieme alla borsa e al suo telefono tutto ciò che esiste davvero, nel mondo esterno, per introdursi in un piccolo microcosmo in cui, prima delle equazioni, deve insegnare ai ragazzi a rispettarsi a vicenda, e ad amare. Nisida, un carcere sull’acqua in cui Elisabetta prova a imbastire il futuro, fino all’arrivo in classe di Almarina, una ragazza nuova, che per la donna, cinquantenne, vedova e solitaria, diventerà come una figlia.
Entra in classe. «Oggi a lezione c’è una ragazza nuova. […] Ci dice che ha sedici anni, che è una rumena. Non riesce a farsi capace che quella vita che ricorda sia la stessa che mena ora: la morte della madre, la perdita del fratello, non vedere mai più i boschi neri, la neve. […] Almarina sa che quello che non è presente alla vista non esiste più». Ed è in quel momento, da subito, e poi gradualmente giorno dopo giorno, che le loro rispettive solitudini si riconoscono. Così che Elisabetta vedrà negli occhi della ragazza la luce di un nuovo futuro, l’incarnazione di quella figlia che ha sempre sognato e che non ha potuto avere, mentre Almarina una nuova – e finalmente serena – possibilità di esistenza. Inizia la loro rinascita, il cammino di scoperta e il riconoscimento della via di fuga, incarnato da una per l’altra, da tutto ciò che non ha funzionato. «Tutto quello che scegliamo si rivelerà sbagliato se saremo tristi e giusto se saremo felici», dice la protagonista. Ed è questo ciò che più di tutto resta dentro, una volta terminata la lettura, sulla necessità personale di riconoscere la salvezza, di non abbandonarsi.
Almarina è una storia di tenerezza e amore, a cui Parrella, nella cinquina del Premio Strega, affida il proprio pensiero di accoglienza verso il prossimo, che in un momento storico come quello che stiamo vivendo ha la capacità di emergere dal contesto – le pagine, la storia di Elisabetta – per farsi valore universale, uno schierarsi con fierezza dalla parte dei più deboli, dei dimenticati, di quelli che la società ha condannato come casi irrecuperabili. E ha gettato alle spalle senza preoccuparsene troppo. Tutto questo è poi rappresentato dalla scuola, sulla cui assenza tanto si è detto nel corso di questi mesi – così come della sua importanza, di cui le istituzioni sembrano aver perso memoria – un angolo abbandonato da cui si vede il mare in cui è permesso ai ragazzi trovare una seconda possibilità, capire cosa voglia dire avere una famiglia, un lavoro onesto, qualcuno che li ami profondamente. La scuola, che è l’esatto punto da cui Almarina riparte, il porto sicuro. L’emblema di chi sente più che mai l’esigenza di una giustizia che non sempre si trova nelle aule dei tribunali, di chi prova a lottare, come la stessa Elisabetta, affinché chi ne ha più bisogno possa finalmente ricevere amore.
Almarina è un pensiero reale. Di Valeria Parrella che ci dona, romanzandola, la sua esperienza di insegnante nel penitenziario di Nisida, obbligandoci a fermarci ai punti, alle espressioni più crude, drammatiche, in un romanzo che è espressione di una convinzione che assume un peso specifico importante nelle nostre circostanze: permetterti di ascoltare chi non ha avuto voce in capitolo. Sapere che esiste sempre una nuova, seconda, possibilità per cambiare.
[/et_pb_text][slider_article _builder_version=”4.4.6″ max=”10″ hover_enabled=”0″][/slider_article][/et_pb_column][/et_pb_row][/et_pb_section]