Open di Andre Agassi, come non soccombere alle proprie paure
Open, l’autobiografia del tennista Andre Agassi scritta da J.R. Moehringer nel 2011, è il classico libro che trascende l’argomento di cui tratta. Parla di sport, ma non parla di sport. «Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina e tutto il pomeriggio, perché non ho scelta», dice Agassi. È il preannunciarsi di sfide vinte e perse, di momenti di gloria e difficoltà estrema, di sforzo fisico ma soprattutto mentale, di errori e tanta determinazione. Per questo Open è travolgente, nella sua capacità di insegnare a tutti, parlare a chiunque – nonostante il caso specifico di un mostro sacro dello sport – a proposito di motivazione. Perché qualsiasi partita, non solo su un campo da tennis, può prendere una piega inattesa in un istante, per un imprevisto esterno o per un momento di sconforto. E l’unica cosa da fare, dice Agassi, è andare avanti, «continuare a palleggiare».
Open è un confronto quotidiano con la propria identità e con le proprie sofferenze. Un continuo perdersi e ritrovarsi, sbagliare e correggersi. È un libro d’amore, in cui però si incontra molto spesso la parola «odio». Odio per il tennis, odio per quell’allenamento a cui era costretto dal padre, boxeur iraniano emigrato a Las Vegas, odio verso l’essere un campione per forza che il bambino Agassi rifiuta e che l’adolescente Agassi stenta a capire. Una vita centrata sulla ricerca della perfezione («2.500 palline colpite al giorno – diceva papà Mike – fanno un milione in un anno. Come puoi non diventare il più forte?») e una litania nella testa, fare meglio, essere il più bravo, che ne condizionano fortemente la crescita, portando Agassi ai limiti di un’esistenza pericolosa, tra il consumo di farmaci per curare i dolori, l’approccio alle droghe e una depressione costante.
Ma in Open, più del sentimento della rivalsa, c’è sempre il valore della tenacia: tenere duro anche se le cose non stanno andando come volevamo noi, cadere e trovare sempre la forza di rialzarsi (in Open succede soprattutto grazie all’amore per Steffi Graf, anche lei ex numero uno del tennis) così alla fine tutto torna, dagli sforzi alla voglia di rinuncia iniziale.
È possibile che molti di noi non abbiamo mai seguito una partita di tennis dall’inizio alla fine. Magari che non abbiano mai visto nemmeno i primi due minuti, che di tennis non conoscano assolutamente niente. Ed è soprattutto a questo certo tipo di lettori che Open si rivolge: perché illustra con estrema intensità il lato più umano di un campione che alla fine è una persona come tante, che a un certo punto sbaglia e poi si ravvede. Una persona normale.
Quella che Agassi insegna è una riflessione profonda sul peso e la responsabilità che comporta un grande talento, e al tempo stesso quanto sia comune provare contraddizioni e tormenti interiori che non dobbiamo temere, ma che dobbiamo comprendere, proprio come se Open fosse in realtà un romanzo di formazione, che descrive un percorso di consapevolezza: c’è sempre il modo per recuperare e andare avanti, senza soccombere al peso delle proprie paure.