Oltre Itaca: Christo, Ghirri e Ottomanelli in mostra a Modena
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Ulisse, re di Itaca, figlio di Laerte, marito di Penelope, padre di Telemaco. Tutti conoscono la storia narrata nel grande poema epico da Omero, l’Odissea, e soprattutto la parte in cui Ulisse, finalmente, dopo lunghe peripezie, ritorna alla sua amata isola; viene depositato sulla riva ancora addormentato e quando si sveglia, stravolto dal viaggio e dalle avventure, non capisce neanche dove si trova, ma nel momento in cui riesce a riprendersi e si guarda bene intorno, si rende conto di essere a casa e bacia la terra raggiante di felicità. A fare eco a questo mito è il titolo della nuova mostra Oltre Itaca. Christo, Luigi Ghirri, Antonio Ottomanelli organizzata da Banca Mediolanum che verrà inaugurata giovedì 16 maggio nella sua sede a Modena e rimarrà allestita fino al 18 giugno.
Ma che cosa rappresenta Itaca? Itaca è la vita, il viaggio, l’esperienza, ma anche l’approdo, la destinazione, e i tre autori esposti in mostra sono artisti che di questo concetto hanno fatto la cifra della loro arte, lavorando sull’idea di frontiera e di confine da superare. Oltre Itaca presenta, per la prima volta insieme, i lavori di Christo e Luigi Ghirri – due grandi Maestri internazionali entrati nell’Olimpo della storia dell’arte – e del giovane artista Antonio Ottomanelli. Come ha raccontato Gian Luca Bianco, curatore dell’esposizione: «Ad accomunare questi tre artisti è il loro lavoro di mappatura del pianeta, ma anche della loro interiorità e l’utilizzo della fotografia per questo intento. La loro è un’indagine nei confronti del paesaggio e del superamento dei suoi confini, siano essi geografici, o simbolicamente intesi in maniera più ampia, ma tutti e tre lo fanno in modo diverso mostrando ognuno un personale approccio nei confronti del paesaggio scelto”.
Christo Javacheff, dove si manifesta l’arte
Nato a Gabrovo in Bulgaria nel 1935, Christo è conosciuto per i suoi dipinti astratti, gli oggetti impacchettati come bottiglie, bidoni, cartoni, tavoli o per i modelli viventi nella tela e nella plastica, ma è con la moglie Jeanne-Claude che i due artisti si fanno strada nel campo della Land Art. Nei suoi lavori sul paesaggio Christo ricerca il sottile spazio esistente tra natura e arte e lì progetta le sue installazioni. Le sue opere dialogano con la natura e instaurano con il territorio una precisa relazione, questo perché l’artista va alla ricerca dei luoghi dove posizionare l’opera e solo quando sente una connessione speciale con un determinato posto lo sceglie come scenario per le sue installazioni. Possono passare giorni, mesi e soprattutto possono essere vagliati chilometri su chilometri prima che l’artista trovi il luogo adatto per la sua opera e solo una volta trovato, lo fotografa e intorno a quello scatto formula tutto il suo progetto artistico che durerà per un tempo determinato. È il caso di The Ubrellas che ha richiesto sette anni per la sua realizzazione, dal 1984 al 1991: sono stati installati 1760 ombrelloni blu a Ibraki sulle coste del Giappone e 1760 ombrelloni gialli su quelle della California negli Stati Uniti. Tra le opere ricordiamo anche Over the River in cui 11 chilometri del fiume Arkansas in Colorado sono stati coperti con una successione di pannelli in tessuto sostenuto da cavi d’acciaio; ma anche la recente The Floating Piers, l’installazione di una rete di pontili galleggianti sul lago d’Iseo. In qualche modo Christo rintraccia lo spazio in cui l’arte può diventare manifestazione del reale, un’opera concreta sorretta su un lavoro di mappatura come lettura del territorio.
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Luigi Ghirri e il cortocircuito tra finzione e realtà
La mappatura del territorio fatta da Luigi Ghirri è di altro tipo. Lui parte dalla sua realtà quotidiana, quella della Via Emilia, dov’è nato, a Scandiano, nel 1943, e viene presentato oggi come uno dei venti fotografi più significativi del XX secolo. Tramite la fotografia Ghirri mette in dubbio il reale: esemplificativo dell’indagine condotta dall’artista sulla realtà come “fotomontaggio”, è l’Atlante, «il luogo nel quale» secondo Ghirri «tutti i segni della terra da quelli naturali a quelli costruiti dall’uomo, sono rappresentati: monti, laghi, piramidi, oceani, città, villaggi, stelle, sole». In questo progetto l’artista ha raccolto 41 fotografie realizzate nel 1973 in un album composto dai dettagli di un vero atlante: qui Ghirri ripensa al concetto di paesaggio e interroga i codici della sua rappresentazione attraverso la fotografia. Nell’Atlante la fotografia è la componente finzionale che emula la realtà lasciando ancora incerto se il viaggio sia compiuto fuori o all’interno dell’artista, perché si tratta di un viaggio immaginario nel luogo che è annullamento del viaggio stesso.
In questo landscape fotografico, in cui i segni diventano paesaggio, anche la presenza umana è assente: negli scatti di Ghirri infatti non ci sono quasi mai persone, semmai statue di cera che le sostituiscono. L’utilizzo della copia dell’essere umano anche in questo caso, genera un cortocircuito in cui non si sa dove finisce la realtà e dove inizia la finzione. Così vale anche per le fotografie dove le presenze umane sono prese di spalle, intente a guardare dei cartelloni pubblicitari. Gli individui guardano individui che guardano una realtà riprodotta come se fosse reale in un gioco raffinato di prospettive e suggestioni del pensiero.
Ottomanelli e lo spazio vuoto
Quella di Antonio Ottomanelli (Bari 1982) è una fotografia impegnata. L’artista si concentra sullo studio del rapporto tra i principali fattori che determinano la contemporaneità del paesaggio globale in cui viviamo, nelle sue dimensioni materiale e immateriale. Ottomanelli si catapulta in zone di guerra, ad esempio l’Afghanistan, l’Iraq, la Palestina dove il conflitto è la vita quotidiana, ma anche in città come New York dove il conflitto c’è e c’è stato lasciando il segno. Forse è proprio il segno l’elemento di principale interesse di Ottomanelli che si concentra sullo spazio pubblico e su come esso determina la libertà individuale attraverso piccoli segni. Non sono le macerie fumanti o le torri colpite ad essere fotografate, ma i bank di cemento che sbarrano le strade da quel fatidico giorno. Il dialogo in questo caso è spostato in un’area di guerra, come Baghdad ad esempio, e su come essa delimiti la realtà individuale. In questo caso sono rappresentative le foto dei sminatori in Afghanistan per aiutarci a capire meglio l’intento dell’artista: persone scappate da zone pericolose che sono costrette a fare dei lavori pericolosi, come sminare il terreno. In questo caso l’uomo viene posto allo stesso livello di un esercito di duemila scimmie addestrate a sminare il terreno. La libera scelta di questi uomini è proprio limitata dal territorio in cui si trovano e il concetto di identità non è altro che il risultato di determinate forze economiche e politiche che incidono nella condizione sociale del singolo individuo in relazione alla comunità.
È dunque propria di tutti e tre gli artisti una rivoluzione dello sguardo e se per Ghirri si tratta di uno sguardo che confonde la realtà con la finzione e per Ottomanelli si tratta di spostare l’obiettivo sullo spazio vuoto ai margini del conflitto, la rivoluzione dello sguardo di Christo sta proprio nella ricerca dei luoghi in cui l’arte può manifestarsi fino a somigliare alla natura.
È proprio nel modo in cui questi tre artisti hanno risposto alla chiamata che li voleva ad indagare il reale che sono stati scelti per la mostra Oltre Itaca: nel loro continuo confronto con l’oltre, con i propri limiti, nella loro scelta di intraprendere una direzione opposta ad ogni codificazione.
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