Non è importante sapere tutto, ma sapere dove cercare: piccola guida pratica all'uso del dizionario
Tutti quanti, almeno una volta nella vita, abbiamo sfogliato un dizionario. Per molti, la consultazione dello scomodo tomo sarà legata a ricordi scolastici, alla sacralità dell’atto di aprire il volume polveroso sfogliandone con circospezione le pagine. Come vedremo, questa attività non dovrebbe finire con la fine degli studi.
Innanzitutto, il primo mito da sfatare è che esista un solo tipo di vocabolario: ne esistono molti. Prima di tutto, vediamo i tre tipi da consultare a seconda di quello che vogliamo sapere di una parola.
Il dizionario etimologico si concentra sul momento della nascita di un termine: ci descrive da dove deriva (ad esempio, dal latino o da una lingua straniera) o come si è formato (tramite suffissazione, composizione, ecc.). Un grande classico è il Cortelazzo-Zolli. In rete esiste un dizionario etimologico ormai “antico”, il Pianigiani. Essendo della fine dell’Ottocento, va consultato con le pinze, ma può comunque darci qualche informazione interessante.
Il dizionario storico narra la storia della parola nel corso dei secoli (o degli anni), dalla sua nascita a oggi. Il dizionario storico più famoso per l’italiano è il Grande Dizionario della Lingua Italiana, detto “il Battaglia”, dal nome del suo primo curatore. In questo momento non lo si può ancora consultare in rete, ma la sua digitalizzazione è in corso d’opera;
Il dizionario dell’uso o sincronico è invece quello che consultiamo normalmente per conoscere il significato delle parole che incontriamo “in natura” oggi. Sono sincronici lo Zingarelli, il Devoto-Oli, il Sabatini Coletti, il De Mauro ecc.; su questi ci concentreremo oggi.
Ricordiamo anche l’esistenza dei dizionari specialistici, che si concentrano su un settore particolare della lingua (come la medicina, la botanica, l’astronomia, la linguistica), dei dizionari di sinonimi e contrari, dei dizionari bilingui o multilingui, dei dizionari analogici (che forniscono un approccio concettuale alla ricerca lessicale), dei dizionari inversi (che sono in ordine alfabetico partendo dalla fine della parola)…
Il dizionario dell’uso ha uno scopo specifico: fotografare il lessico impiegato dai parlanti di una lingua in un preciso momento della sua storia, e cioè idealmente oggi. Non riesce a contenere tutte le parole impiegate dai parlanti sia perché la lingua è in costante movimento, sia perché i dizionari oggi vengono creati con metodi statistici, e quindi può essere che parole magari usatissime per un breve periodo, poi scomparse, non vi siano registrate (come petaloso), o che un certo termine regionale o dialettale in uso nella nostra città non vi risulti, anche se per noi è perfettamente normale, perché di circolazione ristretta.
Una lingua di cultura è fatta di diverse centinaia di migliaia di parole, secondo alcuni fino al milione; un vocabolario ne registra sempre molte meno. Quello che è certo è che, grazie al ricorso alla statistica, i lessicografi seguono criteri indipendenti dai gusti personali, e non escludono parole perché hanno un brutto significato o perché sono cacofoniche, cioè suonano male. Non a caso, nel dizionario troveremo anche molte parolacce, magari segnalate con la marca volgare o dispregiativo.
Una persona, invece, conosce intorno alle 25.000 parole alla fine delle scuole superiori, affermano vari studi. Proprio per la differenza tra numero di parole contenute in un dizionario e quelle mediamente conosciute da un italiano di media cultura, la consultazione di un vocabolario dovrebbe rimanere una sana abitudine per tutta la vita. In fondo, lo diceva anche Umberto Eco: la persona colta non è quella che sa tutto, ma quella che sa dove trovare l’informazione giusta quando le serve.
È facile reperire dizionari validi: a parte i cartacei citati, anche online troviamo ottime risorse:
Il nuovo De Mauro
Il Sabatini-Coletti
Il Vocabolario Treccani
Il Dizionario Hoepli
Lo Zingarelli, con accesso a pagamento.
Insomma, incontrando una parola che non ci è familiare, teniamoci una di queste pagine tra i Preferiti. Che poi, diciamocelo, il dizionario ci dà un’enormità di informazioni, non solo il significato delle parole. E per molti, il dizionario elettronico o in rete permette una consultazione più semplice del fratello cartaceo: non occorre nemmeno sfogliarlo ricordandosi l’ordine alfabetico!
Prendiamo questa schermata dal Nuovo De Mauro:
Benché ogni dizionario possa presentare delle piccole variazioni, ci sono degli elementi che non mancano mai.
– Innanzitutto, il lemma, normalmente messo in qualche modo in evidenza;
– La sillabazione e la pronuncia (alcuni dizionari elettronici e online danno anche la possibilità di sentire la pronuncia della parola);
– Alcuni dati etimologici (di solito, data di nascita o di ingresso in italiano, più o meno precisa a seconda delle attestazioni a disposizione del lessicografo, e sintesi dell’origine);
– La categoria grammaticale, in questo caso m., ossia sostantivo maschile;
– Le varie accezioni della parola, numerate;
– Esempi d’uso, frasi idiomatiche e cristallizzazioni.
Alcuni dizionari riporteranno poi le polirematiche, cioè i lemmi composti da più parole scritte staccate che coinvolgono il termine da noi cercato (in questo caso: fegato d’oca, avvelenarsi il fegato, ecc.), altri i derivati, cioè le parole che derivano da quella cercata (in questo caso: fegatino, fegatello, ecc.).
Tornando per un secondo all’etimologia, vi siete mai chiesti l’origine di fegato? È decisamente una parola dalla storia strana. In latino, infatti, il termine per designare questo organo del nostro corpo era iecur. È abbastanza evidente che la parola italiana non derivi da questa. E nemmeno deriva dal greco hêpar, -atos, che invece ha dato origine alla nomenclatura italiana usata in campo medico e scientifico: l’aggettivo è epatico, la malattia è epatite. Strano ma vero, fegato deriva da un termine culinario riferito a una preparazione in uso presso gli antichi Romani: lo iecur ficatum, cioè il fegato con i fichi, così chiamato perché le oche allevate per il fegato grasso venivano alimentate con una dieta a base di fichi. Insomma, di iecur, in italiano, si sono perse le tracce. Fico, no?