Nomadi digitali, le opportunità del recruiting globale
Lavorare a lungo e in remoto da qualunque posto del mondo è ormai un fenomeno consolidato, non solo per i freelance. Ma oltre ai lavoratori anche territori e aziende possono guadagnarne: ecco perché
Non è un fenomeno passeggero o una propensione temporanea. Certo, il Covid-19 ha dato la spinta a chi aspettava l’ultima spinta per abbracciare un cambiamento di vita, suggerendo il classico “ora o mai più”. Ma il cosiddetto nomadismo digitale è un fenomeno ormai consolidato e che, d’altronde, era noto e diffuso prima della pandemia che ci ha tenuto lontani per molti mesi fra 2020 e 2022.
Lo dicono i numeri: le stime internazionali, certo non semplici da stilare, parlano di circa 35 milioni di nomadi digitali in tutto il mondo. Contribuiscono al Pil globale per quasi 800 miliardi di dollari l’anno. Se il movimento fosse un paese sarebbe il 41esimo del mondo in termini di popolazione ed entro i primi 40 fra i più ricchi. Al vertice delle mete preferite c’è il Messico, fra le destinazioni più popolari insieme alla Thailandia. A muoversi sono persone nei loro trent’anni (l’età media è di 32 anni ma il salto, per così dire, si fa intorno ai 29) e in maggioranza sono statunitensi, visto che circa 10,2 milioni di americani si definiscono nomadi digitali. Per quasi la metà si tratta di lavoratori autonomi, che dispongono del massimo della libertà, e per il 35% dipendenti di un’azienda che accorda loro massima elasticità in termini di tempi e luoghi di lavoro.
L’aspetto forse meno indagato dalla narrazione sui nomadi digitali, e da tutti i report pubblicati nel corso degli anni in merito a questa pacifica armata di lavoratori che si muove più in base al meteo e al costo della vita che ad altri fattori, è che favorisce anche la ricerca senza confini di nuovi talenti da parte delle aziende. Grazie infatti al nomadismo digitale, i leader aziendali non sono più vincolati dalla necessità di effettuare ricerche di personale a livello locale ma possono spaziare oltre i confini territoriali – o coinvolgere risorse che si siano temporaneamente trasferite nel loro paese – per individuare i candidati che abbiano le esatte competenze che stanno cercando. Un punto a volte reso complesso dal tema visti e permessi di lavoro – molti paesi accordano visti semplificati per questo tipo di lavoratori ma a patto che non prestino la loro opera per aziende del paese in cui intendono trasferirsi per qualche tempo – ma in effetti promettente.
Lo ha spiegato un recente rapporto di Cisco, in cui si legge che “abbracciando nuove modalità di gestione dei talenti, è possibile anche assicurarsi una maggiore fidelizzazione delle persone e un recruitment di qualità”. Ma anche che “i leader aziendali devono tener conto delle implicazioni di sicurezza derivanti dall’utilizzo spinto della tecnologia da parte dei nomadi digitali. Maggiore libertà non significa necessariamente minore sicurezza. Oltre a una più attenta vigilanza individuale, esistono soluzioni di sicurezza di elevata qualità che offrono ulteriori livelli di protezione alle aziende che si avvalgono del lavoro da remoto o ibrido”.
Non basta: il nomadismo digitale fa bene anche alle destinazioni nelle quali i lavoratori scelgono di stabilirsi, di solito per non meno di qualche mese. Il lavoro ibrido crea infatti buone opportunità per i governi e in particolare per le autorità locali per affrontare le sfide del turismo, dello spopolamento e rilanciare la loro economia. Hanno la possibilità di ripensare le loro città – o, nel caso dell’Italia, contrastare appunto l’abbandono dei piccoli borghi come in certi casi è effettivamente successo – per renderle più attraenti per gli investitori e i talenti. Secondo una recente ricerca del MIT Enterprise Forum, la Grecia potrebbe per esempio beneficiare di ben 1,6 miliardi di euro grazie al visto per nomadi digitali. La piccola città di Ponga, nelle montagne settentrionali della Spagna, è pronta a offrire 2.970 euro a ogni persona e famiglia che vi si trasferisce. L’ambizione delle autorità locali è che i nuovi cittadini contribuiscano a sostenere l’economia locale, godendo di 2mila ore di sole all’anno. Nel frattempo un paesino in Italia, Presicce Acquarica, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, ha annunciato che pagherà addirittura 30mila euro a chi ci si trasferirà comprando casa. Non è quest’ultimo proprio il senso del nomadismo digitale, ma in tutto il mondo si moltiplicano appunto iniziative che favoriscono il fenomeno agevolando visti temporanei, creando hub ipertecnologici in cui vivere o lavorare – come accaduto alle Azzorre – o, come nel caso di Airbnb, mettendo a disposizione le proprie piattaforme di viaggio per questo genere di trasferimenti con soluzioni di alloggio versatili e molto “local”.
Anche diverse aziende hanno sperimentato, nel corso degli anni, i benefici dello smart working (che è naturalmente qualcosa di diverso dal nomadismo digitale, ma può almeno fornirne un assaggio): sempre Cisco ha per esempio avviato progetti di lavoro nomade sia a Venezia che nell’isola di Rodi, in Grecia, offrendo ai dipendenti la possibilità di vivere e lavorare per tre mesi come una persona del posto. Oltre a rappresentare un’opportunità che ha cambiato la vita dei dipendenti, ha anche introdotto nuove possibilità per queste località di abbracciare l’innovazione e contribuire a colmare il divario locale di competenze digitali. In termini di benefici per i territori, basti pensare che il gruppo ha dotato biblioteche, musei, spazi artistici e altro ancora di tecnologie per il lavoro a distanza e di infrastrutture di rete che contribuiscono ad alimentare i servizi e le imprese locali.
I settori prevalenti in cui i nomadi digitali lavorano vanno dall’information technology ai servizi creativi passando per la consulenza, il coaching e la ricerca, l’educazione, le vendite, il marketing e le pubbliche relazioni nonché la finanza e la contabilità. Si tratta di un gruppo di persone che adotta rapidamente le nuove tecnologie e sta sul mercato globale delle competenze in modo più semplice da individuare rispetto al passato. Un’opportunità che le aziende non dovrebbero lasciarsi sfuggire per arricchire le proprie prospettive.