Nel labirinto oscuro per scoprire se stessi
Sfidare la percezione. Annullare il senso sovrano dei nostri tempi, la vista, per poter “guardare” più in profondità le cose. L’arte gioca con il nostro cervello, lo scombussola per aprire nuove porte percettive, e questo gioco molto serio può farlo in modi estremi. Succede con gli esperimenti al buio, esperienze in cui, anche se solo per un limitato periodo, si prova la sensazione non piacevole, ma paradossalmente “illuminante”, di essere ciechi.
In un elenco ideale che va dai “blind date”, i concerti al buio che il pianista Cesare Picco ha tenuto in tutto il mondo, al percorso nell’oscurità assoluta della mostra “Dialogo nel buio” dell’Istituto dei Ciechi di Milano che organizza anche cene e spettacoli teatrali nelle tenebre, l’ultima esperienza in ordine di tempo è l’installazione ambientale che Damiano Michieletto ha inventato per la Biennale di Venezia negli spazi eccezionali di Forte Marghera, ex fortezza di 850 metri quadrati situata alle porte della laguna, a Mestre.
Regista d’opera tra i più richiesti (e contestati), Michieletto ha deciso di far incontrare musica, arte, scultura e simbolo in un percorso immersivo – il titolo è Archèus. Labirinto Mozart – che sulle note del Flauto magico mozartiano diventa per il visitatore un viaggio iniziatico, un passaggio misterico dal buio alla luce. Costellato di strani incontri, capovolgimenti di prospettive, ribaltamenti di senso. Aperto gratuitamente fino al 5 giugno (con prenotazione obbligatoria su www.labiennale.org), Archèus si snoda su cinque stanze collegate da tunnel bui, alla prima delle quali si accede attraverso un enorme imbuto nero alto otto metri che mano mano si restringe fino a condurre a uno stretto varco sempre più oscuro. È la porta verso l’ignoto, l’inizio di un viaggio interiore labirintico dove ogni certezza vacilla.
Si entra in un tunnel immerso nel buio, un serpente nero dove la vista è azzerata. L’unica guida è la musica, un’aria del Flauto magico (nell’edizione diretta dalla stesso Michieletto alla Fenice nel 2015, ma rielaborata con l’elettronica) dove risuona il flauto di Tamino, il giovane che nell’opera insieme all’amata Pamina deve superare delle prove per poter conquistare la luce e la saggezza. Il buio ritornerà nelle gallerie che collegano una stanza e l’altra, dove al visitatore appariranno visioni misteriose: un uomo-uccello che riporta alla figura enigmatica della Sfinge, un corvo gigantesco e minaccioso, un Uovo cosmico in cui si concretizza il concetto di armonia. E ancora una stanza capovolta, un occhio-cupola e spazi immersi in una luce fredda e abbagliante.
L’idea, tra gioco e filosofia, è quella di stimolare l’attivazione cognitiva e percettiva dei partecipanti attraverso la loro immersione ambientale nell’installazione, e attraverso la curiosità e lo spaesamento che nascono dal dover procedere, appunto come in un viaggio iniziatico, tra tappe nell’ignoto. Un percorso di trasformazione in cui lo spettatore è trasportato “dentro” l’opera d’arte e “dentro” la fiaba, in un’avventura ludica che insieme è un’esperienza sapienziale sospesa tra sogno e realtà. Difficile da dimenticare.