Il negazionismo non è un'opinione, è un reato
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“Il negazionismo continua a infangare la memoria di questa tragedia, dobbiamo fare di più affinché le teorie negazioniste non trovino nuovo consenso. È responsabilità di tutti noi non sottovalutare questi dati”. Lo ha affermato il vice ministro dell’Interno Matteo Mauri commentando i dati presentati nel “Rapporto Italia 2020” da Eurispes che, oltre a raccontarci un paese sempre più xenofobo e sempre meno propenso a credere alla politica e ai mezzi di informazione, ci evidenziano l’allarmante aumento del numero dei nostri connazionali convinti che la Shoah non sia mai avvenuta. Numero cresciuto in soli 15 anni dal 2,7 per cento del 2004 all’attuale 15,6 per cento.
Ma cos’è il negazionismo?
Con questo termine, dice l’enciclopedia Treccani, “si indica la corrente antistorica e antiscientifica del revisionismo, che con l’uso ideologizzato e spregiudicato di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea ma, specialmente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo, come ad esempio l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista, si spinge a negarne l’esistenza”.
Come sia nata questa corrente e perché, sono elementi che possiamo individuare nel tentativo di alcuni intellettuali di sollevare i nazisti dalle loro responsabilità avviatosi già dal primo dopoguerra. Tuttavia, sia il pensiero del francese Bardèche sia quello dell’ex deportato politico Rassinier che definì la Shoah una “menzogna storica” ordita dagli alleati a detrimenti dei tedeschi, inizialmente rimasero circoscritti ai circoli neonazisti europei. Poi, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il negazionismo divenne un tratto comune di alcuni gruppi estremisti di diversa estrazione in contemporanea con la pubblicazione negli Stati Uniti del libro “La menzogna del ventesimo secolo” nel quale l’autore metteva in dubbio l’Olocausto.
Questa pubblicazione trovò larga eco in Francia con la pubblicazione su importanti quotidiani di alcune lettere del professor Faurisson, professore di letteratura francese all’Università di Lione, la cui visione revisionista gli costò la sospensione dall’insegnamento ma nello stesso tempo avviò un dibattito pubblico tra molti storici che lo accusavano di “oltraggio alla verità” e molti intellettuali di sinistra che difendevano il suo diritto alla libertà di parola.
Sin dai primi anni del XXI secolo, per contrastare la reviviscenza delle teorie negazioniste, i ministri della Giustizia dell’Unione Europea, hanno introdotto sanzioni detentive per l’incitamento pubblico alla violenza e all’odio razziale e per l’apologia in pubblico e la negazione, per la banalizzazione del genocidio e dei crimini contro l’umanità e di guerra.
In Italia il negazionismo è reato dal 2016, anno in cui il legislatore ha aggiunto alla legge previgente, una sanzione aggravata da due a sei anni di reclusione per i comportamenti di discriminazione e di odio a sfondo razziale.
Ma il negazionismo degli italiani non guarda soltanto al passato, ci dice lo studio di Eurispes. Infatti, rileva un fenomeno molto diffuso che riguarda i giorni nostri: ben il 61,7 per cento dichiara candidamente che i recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati e non sono indice di un reale problema.
Al tempo stesso, il 60,6 per cento ritiene che questi episodi siano la conseguenza di un linguaggio basato su odio e razzismo oramai diffuso a tutti i livelli. Il 37,2 per cento la butta sull’ironia, sostenendo che quegli episodi di antisemitismo altro non sono che «bravate messe in atto per provocazione o per scherzo». Solo per meno della metà del campione (47,5 per cento) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno.
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