Nasce il primo museo dedicato allo spazio pubblico
Cos’è il museo dello spazio pubblico
La prima cosa che stride quando parliamo con Luisa Bravo è scoprire che lei è un ingegnere e non un architetto. “Non dovrebbe essere così strano” sorride la Bravo, “lo spazio pubblico è un’infrastruttura sociale dove si intersecano tanti livelli di progettazione”. Tradotto, lo spazio pubblico non è prevedere aree verdi qua e là quando si progetta una città, è molto di più. Lo spazio pubblico non è un singolo progetto ma è una dimensione spazio temporale di chi lo progetta, chi lo gestisce, chi se ne prende cura ed anche di chi lo vandalizza. È un’azione progettuale, non è un momento specifico. Luisa Bravo insegna urbanistica all’Università di Firenze ed è un vulcano d’idee. Ha creato l’associazione City Space Architecture, un’organizzazione no profit che lavora sul concetto di spazio pubblico ed è editore della rivista “The Journal of Public Space”.
“Il museo è il momento di sintesi del percorso avviato anni fa, un luogo fisico dove la ricerca, la sperimentazione, l’attivismo, s’incontrano per sviluppare un progetto di conoscenza legato alla modalità d’interazione dello spazio pubblico”.
Proprio su questi presupposti Luisa Bravo ha creato uno spazio che non sembra un museo dove si entra, si ammirano i contenuti sulle pareti e si esce. Nel suo immaginario il Museo è un luogo dinamico dove quello che troviamo alle pareti interagisce con le persone creando momenti d’incontro e confronto.
I Parklets
La prima sfida da affrontare è stata quella di creare un museo nella periferia di Bologna e per di più andando contro corrente, trasformando un ex supermercato in un luogo di cultura.
“In generale è un problema che hanno molte città ovvero di voler sviluppare tutto nel centro storico ma il Covid ci ha fatto riscoprire la parola prossimità”. Un primo test importante per il Museo è stato la creazione del primo Parklet a Bologna. In estrema sintesi è una pratica di urbanismo tattico, un modo innovativo di creare spazi pubblici rimuovendo dei parcheggi. L’obiettivo è quello di creare luoghi di aggregazione che prescindano dalle piazze o i parchi, ogni singolo punto della città può “rivitalizzarsi” attraverso l’introduzione di parklets, molto comuni negli Stati Uniti ed in Nord Europa.
“Il progetto fu pensato in pre pandemia ma è stato molto utile anche durante il Covid” afferma Luisa Bravo. “È stato bello vedere signore anziane che potevano fare solo pochi passi, avessero un luogo per sedersi. Madri che avevano un luogo per allattare. Avevamo installato anche del verde pubblico e pure quella è diventata un’occasione per la comunità della strada per prendersene cura innaffiando le piante”.
Purtroppo il Comune di Bologna non è stato ricettivo, non ha capito l’importante messaggio dietro il progetto e dopo dieci mesi ha ritirato l’autorizzazione per la concessione dell’utilizzo dello spazio pubblico.
La città dei 15 minuti
Il parklet andava nella direzione di una nuova idea di città, quella dei 15 minuti sui cui città come Parigi stanno lavorando da tempo. L’idea consiste nel costruire città dove non è necessario compiere grandi spostamenti per svolgere la quotidianità, fare la spesa, andare dal medico, raggiungere uno spazio culturale, tutto nel raggio di 15 minuti. Questo porta vantaggi anche nella gestione della mobilità urbana e sull’inquinamento. Il problema è che la città dei 15 minuti può avere un senso nei centri storici, ma nelle periferie?
“Dal punto di vista teorico è sicuramente un progetto interessante, questo Museo va in quella direzione, la periferia deve avere spazi polifunzionali però prima bisogna conoscerle. Ogni periferia è diversa e non è possibile calare dall’alto un sistema standardizzato perché rischiamo di ricreare a sua volta quei problemi tipici di una periferia”.
Secondo Luisa Bravo bisogna sempre partire dall’azione che si vuole ottenere con determinate scelte. Ad esempio è sempre più comune assistere alla chiusura dei piccoli negozi in favore dei centri commerciali e questo va proprio nella direzione opposta alla città dei 15 minuti. “Se porti avanti quel concetto tutta la progettazione urbanistica deve seguire un determinato percorso in modo coerente”.
In Europa esistono molti esempi di città che hanno sfruttato bene lo spazio pubblico come Barcellona oppure Amsterdam che nel 2019 ha annunciato di rimuovere progressivamente undici mila posti auto dal centro per creare spazio pubblico.
Pubblico e privato
Un altro elemento importante al quale spesso non si pensa quando si progetta lo spazio pubblico, è la commistione fra pubblico e privato. Quando si realizzano certe opere urbanistiche, il pubblico ha bisogno del finanziamento del privato che ovviamente ha logiche diverse dal pubblico. Negli Stati Uniti è abbastanza frequente ma in Europa la cessione di spazi pubblici, anche le biblioteche, a privati, è una cosa che stride. “L’ideale per far funzionare questo connubio dal quale spesso è difficile prescindere, sarebbe avere una comunione d’intenti, una visione comune sulla dimensione di spazio pubblico”.
Il problema di genere nella progettazione
Esiste anche un problema di genere nella progettazione degli spazi pubblici. Chi progetta le città sono quasi sempre uomini e manca completamente la prospettiva femminile anche se città come Vienna stanno tentando di cambiare quest’impostazione. Storicamente le città sono state progettate per favorire le auto e meno i pedoni ed infatti era l’uomo a disporre di questo mezzo più che la donna. Le città hanno risentito di questo approccio. Se una città fosse progettata da una donna sicuramente sarebbero previsti luoghi pubblici per allattare senza dover andare in un bar a consumare, sarebbero previste più toilette pubbliche, i marciapiedi sarebbero pensati per ospitare anche passeggini. Le donne possono portare quel valore aggiunto importante nella progettazione dello spazio pubblico in una logica d’inclusione.
“C’è un problema di genere nell’architettura urbana, questo è indubbio. Quando presento un progetto, faccio sempre più fatica a far passare un’idea, la devo spiegare molto di più, se lo facesse un uomo con il suo ruolo autorevole, avrebbe meno problemi”. UN Habitat si è mossa in questo senso con il progetto “her city” organizzando training, workshop per aprire un dialogo su questo tema.
Il Museo dello Spazio pubblico è stato un tassello importante nel percorso ideato da Luisa Bravo ma non è certo l’ultimo.
“Abbiamo da poco lanciato un portale che aggrega tutte le notizie che hanno a che fare con lo spazio pubblico “sempre nell’ottica di creare condivisione di contenuti e sensibilizzazione sul tema. Il prossimo passo sarà quello di creare la Public Space Accademy che sarebbe il primo corso universitario al mondo dedicato a questo tema. Un corso multidisciplinare che ha abbraccia la politica, la sociologia, l’urbanistica” conclude un’entusiasta Luisa Bravo.