Quando non se ne può più, si cambia: rileggere Gli indifferenti di Moravia
Nessuno si salva da solo. Nel lavoro come nella vita. Buttiamola in filosofia. Allo specchio, due grandi pensatori, uomini e mirabili filosofi. Aristotele non aveva dubbi: chi è incapace di vivere in società o non ne ha bisogno perché è sufficiente a sé stesso oppure deve essere una bestia o un dio. Nemmeno il più mitomane di noi si paragonerebbe a un dio dunque dobbiamo impegnarci a vivere insieme agli altri per non diventare la quintessenza delle bestie. Perché l’uomo è sì un animale ma sociale e anche sul lavoro può vivere solo in squadra per star bene davvero e per costruirsi una carriera. Ma bisogna scegliere una squadra vincente e remare tutti nella stessa direzione. Non è facile né automatico amare quello che si fa e che si ha, a volte ci sentiamo sul baratro ed è proprio nel buio che dobbiamo divorare la vita. Lottare per raggiungere quello che desideriamo davvero altrimenti ameremo, tristemente, ciò che troviamo. Chi si accontenta gode, dice un adagio popolare. Ne siete davvero certi?
Poi c’è un altro grande filosofo che invece nell’uomo aveva ben poca fiducia o forse lo conosceva troppo bene per averne: Thomas Hobbes. Homo homini lupus, diceva. Secondo lui l’uomo ha una natura fondamentalmente egoistica, e a determinare le sue azioni sono l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Non possiamo piegarci a questa logica di vita. Ma non possiamo nemmeno arrenderci al mondo e stare a guardare. Perché non è tanto la cattiveria dei nemici a spaventare ma il silenzio, a volte conciliante, degli amici. La ferocia della nostra società sta tutta nell’indifferenza. Adattarsi è una qualità, anche se a volte dolorosa, ma allinearsi è la vera rovina dell’anima. Viviamo in una società anestetizzata. Dai social alla spettacolarizzazione del dolore, dall’abitudine alle bestialità, alla solitudine davanti allo schermo, del computer o della tv che sia.
Siamo tutti più soli. Spesso restiamo a guardare intontiti come se ciò che accade attorno a noi sia inevitabile, anche quando dovremmo gridare a gran voce la nostra indignazione.
A volte nel corso della vita, si leggono dei libri per capire chi siamo o chi vogliamo essere o dove vogliamo andare. Gli indifferenti di Moravia è un romanzo con i piedi ben piantati nel nostro tempo, da leggere proprio adesso perché ci descrive con esattezza quello che non dobbiamo diventare: abulici, piatti, indifferenti, lontani. I personaggi di Moravia non vogliono salvarsi. Cercano di orientarsi nella grande selva dell’esistenza sociale, in loro l’arte della degradazione tocca il culmine dell’ipocrisia borghese del tempo che però non difetta poi tanto da quella di oggi.
Dobbiamo osservare quegli indifferenti con i volti coperti dalle loro indissolubili maschere e mostrare il nostro volto, uno solo, sempre lo stesso. Molte persone per andare avanti sotterrano i pensieri in luoghi bui e dimenticano il tremore delle emozioni. Nel mondo degli indifferenti la rivolta non può che configurarsi, resta un’intenzione, un ultimo singulto di vita. Invece noi dobbiamo scegliere sempre, non lasciarci vivere. Nella vita e sul lavoro che è grande parte della nostra esistenza. Dobbiamo essere veri, autentici. Non cedere alle lusinghe della vanagloria. Viviamo in un periodo storico complicato, questo è vero: manca il lavoro, la famiglia vive un momento di crisi, i ragazzi cercano una visione. Ma a volte la visione bisogna andarsela a prendere. L’indifferenza non ci aiuterà, non sentire niente non ci farà sentire meglio. Lamentarsi è un pernicioso tramestio.
Moravia era un combattente, i suoi libri furono messi al bando dalla Chiesa che li considerava scandalosi perché forse troppo veri. E nella sua grande lucidità, lo scrittore che ha segnato un’epoca, aveva ragione quando diceva: E allora sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia.