A lezione di creatività con la Milano fashion week
«Creatività e marketing, è questo che dovrebbe essere la moda. Un binomio perfetto in grado di dare vita a personalità uniche attraverso scelte estetiche. Di raccontare dove andiamo e dove potremmo arrivare». Ciò di cui parla Mauro Ferraresi, direttore del Master di Fashion, Wellness and Beauty Management dell’Università IULM di Milano, è un equilibrio di idee, necessario per intendere la moda come rappresentazione dei tempi odierni. Mentre Milano sta ospitando gli eventi e sfilate per la fashion week 2019 (dal 17 al 23 settembre), alcune novità in programma hanno catturato l’attenzione degli addetti ai lavori, promuovendo una riflessione profonda su quanto il mondo del fashion abbia ancora da dire. E se al calendario sono state apportate modifiche sostanziali svelando così la preoccupazione di mantenere i buyer in città il più a lungo possibile, ogni orlo, piega e cucitura racconta più di quanto appaia dall’esterno.
I brand si raccontano alla Milano fashion week
Certo, l’idea di spostare alcuni appuntamenti da tempo fissati con rigore sacrale (come la sfilata di Giorgio Armani, che cede al grande assente dello scorso anno, Gucci, la sua tradizionale posizione nella domenica di chiusura) ha a che fare con la sfera più commerciale del settore: «ma c’è dell’altro», dice Ferraresi. «I grandi brand riescono a raccontare e a raccontarsi attraverso la qualità dei propri prodotti e le loro scelte stilistiche. Parlano di fatica, del talento dei sarti e dei designer, di cosa funziona nel mondo e cosa no. Il problema nasce quando la moda diventa autoreferenziale, disinteressandosi alla percezione dei consumatori. Il suo essere criptica è il segno che il binomio tra creatività e marketing si è fortemente sbilanciato», continua.
Quel giusto mix di creatività e marketing
Nel 2017, un articolo apparso sul New York Times sembrava segnare la fine di un’epoca. Quella golden age perenne che ha identificato il capoluogo lombardo nel mondo come “città della moda”. La moda milanese era “uncool”, scrivevano, troppo focalizzata sul tentativo di sorprendere; così incapace di tenere il passo con Parigi, in cui è ancora intesa come atto d’amore. «Sono ragioni che non so per quanto ancora dureranno. Parigi detta legge, ma sarebbe giusto spiegarne la vera motivazione»: l’equilibrio. «New York è inferiore rispetto a Milano sul versante della creatività, perché è molto forte dal punto di vista commerciale. Cosa di cui la nostra moda è più carente». Ma come si crea allora il binomio perfetto? «Ci deve essere un pensiero», afferma Ferraresi. «Il marketing può correre il rischio di trovare pensieri che siano solo commerciali, niente di più. In questo modo un progetto non riuscirà mai a soddisfarci davvero. Occorre sempre cercare una storia, crederci e saperla raccontare». Perché la moda è essa stessa una narrazione. Fatta di stasi e rivolgimenti, sintomo di una sensibilità culturale, di un’evoluzione dei costumi e di una visione precisa del mondo. Che racconta «il cielo, la strada», come affermava Chanel, «il nostro modo di vivere e che cosa sta accadendo». Ma il suo processo creativo è un gioco, che si sviluppa intrecciando arte, intuizione e una piccola dose di follia. E se tutte le aziende in campo scommettono sulla nebulosa di significati che la parola “creatività” porta con sé, «è necessario maneggiarla con cura», evitando di derubricarla ad accessorio. «Privo di creatività, il marketing è come la ruota di una bicicletta a cui manca il mozzo. Senza ciò che gli permette di muoversi, tutto crolla», conclude il docente. Ogni ingranaggio deve cooperare per lo stesso scopo, «muovere la macchina, permettendoci di arrivare ovunque vogliamo».